Quali cibi danno piacere e perchè


Quando mangiamo alimenti come vegetali, latte e suoi derivati noi proviamo un senso di appagamento e benessere.
Dove hanno origine queste sensazioni? Nell’area limbica dove agiscono le endorfine, sostanze prodotte dal cervello che sono responsabili della sensazione di bisogno e ci stimolano a cercare il piacere attraverso il cibo.

Le endorfine sono così potenti da spostare addirittura la soglia del dolore: in questo caso nel sistema limbico viene liberata la dopamina. E’ il meccanismo che ci permette di accettare di buon grado anche la dieta, a patto che dopo un certo periodo di sofferenza sia possibile ottenere risultati soddisfacenti.
Ogni stimolo proveniente dall’ambiente esterno provoca in noi un mosaico di emozioni e pensieri: i neuropeptidi (la gastrina e la colecistochinina, ad esempio) hanno il compito di trasportare tali sensazioni e di condizionare il nostro comportamento, proprio come fa la mente. A tutti noi sarà capitato, almeno una volta, di essere sorpresi da improvvisi attacchi di colite, che in determinate circostanze sono addirittura impossibili da contenere.

Shachter e Singer, fra i pionieri negli studi del comportamento, nel 1962 effettuarono un esperimento per analizzare il rapporto tra la mente e il corpo. Gli psicologi statunitensi presero in esame due gruppi di persone: al primo iniettarono una dose di adrenalina, facendogli credere che si trattasse di una semplice vitamina per migliorare la vista; al secondo somministrarono un’iniezione apparentemente uguale, ma nella fiala c’era solo del placebo.

I pazienti di entrambi i gruppi vennero informati con tre diverse modalità:

1. Alcuni furono avvisati degli effetti collaterali dell’adrenalina (palpitazioni, tremori), pur senza svelare la sostanza

2. Altri non ricevettero informazioni

3. Ad altri ancora furono date informazioni fuorvianti, indicando come effetti collaterali prurito o cefalea

Dopo l’iniezione, tutti i pazienti furono accompagnati in stanze separate dove erano presenti psicologi dello staff, che avevano il preciso scopo di agire da provocatori. Alcuni provocatori si mostrarono euforici o aggressivi, altri denunciarono pruriti e nausee; la situazione era monitorata mediante cineprese nascoste dietro gli specchi finti di ogni stanza.
Il primo gruppo di pazienti (1), sottoposto all’iniezione di adrenalina e correttamente informato degli effetti collaterali, dimostrò di non essere quasi influenzato dal comportamento dei provocatori. Risultati opposti per i pazienti che non erano stati informati (2) o che avevano ricevuto informazioni fuorvianti (3): molti di loro riferirono di essersi sentiti euforici o aggressivi, in base al tipo di provocatore a cui erano stati abbinati.
Il dato più rilevante è che questo tipo di sensazioni erano diffuse nella stessa misura sia nei pazienti sottoposti all’iniezione di adrenalina, sia in quelli a cui fu somministrato il placebo. Morale della favola: una cura può fare tanto, ma gran parte del risultato dipende dall’idea che noi ci siamo fatti della cura stessa. Siamo tutti molto influenzabili…

Bibliografia:

Schachter, S. & Singer, J. E. (1962), Cognitive, Social, and Physiological Determinants of Emotional State, Psychological Review, 69(5), 379-399.

Sander L. (1983) To begin with-reflections on outogeny. In: Lichtenberg J.D., Kaplan S. Reflections on Self Psychology. The Analytic Press, New York, pp. 85-104.

Johnson M.H., de Hann M. (2000), Developing cortical specialization for visual cognitive function: The case of recognition, in Mechanisms of cognitive development: Behavioral and neutral perspectives, J.L. McClelland, R.S. Siegler, Hillsdale, NJ: Erlbaum.

 

PIACERE E DOLORE

Con metodi più scientifici e un po’ di fortuna, nel 1954 il dottor James Olds fece una grande scoperta studiando il comportamento di topi da laboratorio. Lo scopo di Olds era quello di verificare come una serie di impulsi elettrici nel cervello dei ratti generasse negli animali dei comportamenti di avversione. Per una fortunata casualità un elettrodo venne posto nell’ipotalamo.
L’esperimento prevedeva di inviare una scarica elettrica ogni volta che il topo si fosse avvicinato a un angolo della gabbia in cui era rinchiuso. La sorpresa è presto detta: dopo ogni stimolazione elettrica l’animale non fuggiva, anzi era sempre più spinto ad avvicinarsi alla gabbia per “averne ancora”. Lo stimolo elettrico della ricompensa pare realizzarsi nella parte anteriore dell’encefalo; per questo motivo utilizzando un elettrodo è possibile far mangiare ancora un animale già sazio.
E siccome le sorprese non finiscono mai, nel 1976 anche gli studiosi Rowland e Antelman fecero una scoperta sconcertante analizzando il comportamento alimentare dei ratti. L’esperimento prevedeva di applicare una pressione, apparentemente non dolorosa, sulla coda dell’animale per due volte al giorno. Il risultato fu inatteso. I topi aumentarono la loro quantità giornaliera di calorie del 129% rispetto a quelli non sottoposti al trattamento.
Recenti studi comportamentali confermerebbero che uno stress prolungato ma poco aggressivo possa causare un aumento incontrollato dell’appetito anche nelle persone. L’obesità e le sue conseguenze sociali negative possono determinare lo stesso tipo di stress: il risultato è un continuo e ossessivo senso di appetito che innesca un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Le analogie fra gli esperimenti da laboratorio e la nostra vita quotidiana non finiscono qua. Gli studiosi Koob, Fray e Iversen applicarono lo stesso fastidioso stress alla coda del ratto: l’animale era così indotto a correre attraverso un labirinto per rosicchiare un tronchetto di legno per distrarsi. Lo stesso bisogno era assente nei ratti non sottoposti a stress.
Anche noi siamo indotti a comportamenti analoghi per combattere lo stress: il neonato trova pace col succhiotto, mentre la stragrande maggioranza delle persone fa uso di gomme da masticare, si rosicchia le unghie, mangia caramelle o fuma ripetutamente. Questo bisogno orale compulsivo è al tempo stesso malattia e autoterapia: a volte è causato da un disagio psicologico, ma spesso è dovuto alla necessità di stimolare l’area limbica, che più è stimolata e più ha bisogno di esserlo.
Per riconquistare un corretto stile di vita la strategia migliore è cercare (e trovare) il piacere in attività che ci distraggano dal bisogno di mangiare. L’attività fisica, il movimento di breve durata ma cadenzato sui pasti assieme al rispetto di semplici regole sono alcune di queste.
Siamo così di fronte a un bivio. Meglio la visione epicurea del “Cogli la vita e fregatene” oppure è preferibile quella stoica che nega il bisogno: “Più ricco di chi possiede un bene è colui che non lo desidera”? A definire il confine tra il malato e il sano non è il racconto del paziente, ma soltanto dati clinici oggettivi.

Il comportamento alimentare è patologico nelle persone afflitte da uno stato di obesità cronica, che non riescono a dimagrire da sole e a mantenere un peso corretto. Facciamo degli esempi. E’ la glicemia, cioè la quantità di glucosio nel sangue, a stabilire il confine tra il goloso e il diabetico. Allo stesso modo è l’obesità, intesa come elevata percentuale di grasso nel corpo, a indicare il nostro stato di salute o di malattia.
Può essere utile raccontare la vicenda di una cara paziente, Luisella, che grazie a una lunga e travagliata cura è riuscita a ottenere un risultato estetico apprezzabile. Luisella dirige un negozio di arredi per bagno e piastrelle; il lavoro va bene, ma lo stress quotidiano è alto e il tempo per pensare alla propria salute è sempre poco. Come spesso accade, a fine giornata una birra e un piatto di pasta sembrano essere l’unico rimedio alle difficoltà. L’importanza della terapia entra in gioco proprio adesso: il suo obiettivo è rendere meno duro il “difficile mestiere di vivere”, come poetava il Montale. Per vincere abitudini consolidate, però, servono determinazione, volontà e voglia di cambiare le cose.
Durante una visita di controllo vedendola molto più curata, addirittura abbronzata per la volontà di piacere, ci complimentammo con lei per i progressi fatti. L’ammissione di Luisella fu disarmante: “Il vero piacere, finalmente, è potermi comprare una gonna decente”.
Come riuscire a sostituire la gratificazione data da vegetali (come pane, vino, nutella, ma anche sigarette), latte e latticini col piacere di guardarsi allo specchio? Come ritrovare il piacere di esporre il proprio corpo? Il primo passo da fare è capire che è importante avere un aspetto curato non per gli altri, ma per se stessi.
Spesso invece il nostro atteggiamento è a dir poco distruttivo. “Io sono così e basta!”: questa è la risposta che spesso diamo a chi ci esorta ad avere cura del nostro corpo. Nel rapporto fra uomo e donna si insinua addirittura il dubbio che ci sia una certa frustrazione da parte del coniuge. In questo caso il campionario di risposte è quasi sempre lo stesso: “Vuoi una donna più magra? Allora vattela a cercare!”, oppure “Hai sempre voluto un tipo più aitante, sei la solita”. Lo sbaglio più grande, in questi casi, è nascondere la bilancia nell’armadio per il quieto vivere.
In molti casi consideriamo problemi come l’alcolismo, il tabagismo o la febbre per il gioco d’azzardo delle vere e proprie malattie, ma non concediamo la stessa attenzione ai nostri comportamenti alimentari. Spesso riteniamo più grave perdere dei soldi per una scommessa piuttosto che acquistare chili di troppo. Sbagliato. Dobbiamo considerare i disturbi alimentari alla stregua di una qualsiasi malattia del comportamento.

 

Bibliografia:

Berridge KC, Ho C-Y, Richard JM, DiFeliceantonio AG.
The tempted brain eats: pleasure and desire circuits in obesity and eating disorders.
Brain Res. (2010); 1350:43-64.

Gilman JM, Ramchandani VA, Davis MB, Bjork JM, Hommer DW.
Why we like to drink: a functional magnetic resonance imaging study of the rewarding and anxiolytic effects of alcohol.
J Neurosci. (2008);28(18):4583-4591

Marcus MD, Wildes JE.
Obesity: is it a mental disorder?
Int J Eat Disord. (2009); 42(8):739-753.

Martinez D, Gil R, Slifstein M, Hwang DR, Huang YY, Perez A, Kegeles L, Talbot P, Evans S, Krystal J, Laruelle M, Abi-Dargham
A. Alcohol dependence is asso- ciated with blunted dopamine transmission in the ventral striatum.
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Pruessner, J. C., Champagne F.,
<Dopamine release in response to a psycological stress in humans and its relationship to early life maternal care. A positron emission tomography study using – 11C-aclopride>.
J Neurosi 24 (11):2825-31.(2004).

 

 

 

 

Come dimagrire

CONTROLLO RESPONSABILE DELLA RAZIONE ALIMENTARE

Quando la nostra immagine riflessa allo specchio è inaccettabilmente cambiata e si decide di dimagrire, dobbiamo fare i conti con pranzi e cene tra amici e parenti abituati a vederci mangiare e bere senza remore.
Ma il nemico più difficile da combattere è la fame nervosa quando abbiamo deciso di meritarci una sorta di premio, una coccola che necessita di cibi REMUNERATIVI, quelli per i quali siamo disposti a… ESAGERARE !!!!!
L’elemento comune della maggior parte di questi è l’alto Indice glicemico (IG) che è dato dal rapporto tra ciò che mangiamo e l’aumento della glicemia. A parità di calorie introdotte dolci, birra, molti frutti, ma anche ortaggi comuni come zucca, carote, patate, e molte bevande come la fanta, la coca cola, la pepsi, e addirittura il riso o il pane alzano moltissimo la glicemia rispetto a i carboidrati con un basso IG come gli spaghetti di grano duro o la soia in semi o un succo di mela o di pompelmo. Bisogna comunque usare delle cautele, infatti, molti cibi a basso IG devono essere assunti con moderazione a causa del loro alto contenuto in grassi come le arachidi o il cioccolato, altri pur ad alto valore di IG come l’uva o le carote per il loro valore nutrizionale in flavonoidi, vitamine e minerali è bene non siano esclusi del tutto.

Dobbiamo partire dal concetto che è necessaria una dieta equilibrata e non è possibile rinunciare per tutta la vita ai piaceri della tavola. Tuttavia se la circonferenza addominale è davvero eccessiva è altrettanto necessario almeno periodicamente disintossicarsi eliminando, per uno o due o al massimo tre giorni, ad esempio una volta al mese le cose ….”buone” ….ma “dannose” come formaggi, dolci, pizze, pane, frutta, delle quali inevitabilmente cadiamo vittime.

Questa dieta la chiameremo “chetogenica” perchè in tre giorni il paziente deve generare chetoni.
Se ciò non accade si debbono assumere alimenti particolari e controllare il proprio metabolismo mediante l’esame della calorimetria indiretta.

 

Bibliografia:

Jenkins, David J.A.,
“Glycemic Index of Foods: a Physiological Basis for Carbohydrate Exchange.”
The American Journal of Clinical Nutrition, Vol. 34, (March 1981), pp. 362-366.

Jenkins, David J.A.,
“Starchy Foods and Glycemic Index.”
Diabetes Care, Vol. 11, No. 2, (February 1988); pp. 149-159.

Miller, Janette Brand.,
“International tables of glycemic index.”
The American Journal of Clinical Nutrition, Vol. 62 (supplement), (1995); pp. 871S-893S.

Wolever, Thomas M.S.,
“The Glycemic Index: Methodology and Clinical Implications.”
The American Journal of Clinical Nutrition, Vol. 54, (1991); pp. 846- 854.

Wolever, Thomas M.S.,
“Glycemic Index of Fruits and Fruit Products in Patients with Diabetes.”
The International Journal of Food Sciences and Nutrition, Vol. 43, (1993); pp.205-212.

 

LA STORIA DI LUISELLA

Ad una cara Paziente che dopo una lunga e travagliata cura, era finalmente riuscita ad ottenere un risultato estetico apprezzabile, ho cercato di spiegare che esistono anche piaceri non nutrizionali, come andare al cinema.
Luisella, così si chiama di nome, bellamente mi disse che non era certo un buon suggerimento. Luisella dirige con la sua amica Cinzia, un negozio di arredi per bagno e piastrelle, il lavoro va bene ma come al solito il difficile è farsi pagare. Le ore di lavoro sono tante e il tempo per pensare alla propria salute è sempre poco. Arrivate distrutte a casa, dopo una giornata trascorsa a combattere con creditori, banche e fornitori e istituti di recupero crediti, una birretta e un piatto di pasta o una pizzetta, sembrano l’unico rimedio alle difficoltà della giornata. La terapia serve proprio a rendere meno duro il “difficile mestiere di vivere” come poetava il Montale. Ma com’è difficile cambiare abitudini consolidate. Tutti quelli che conoscono Luisella da molti anni sanno che per lei è piacevole comportarsi in un certo modo e ora che è cambiata non capiscono il suo comportamento.
Durante la visita quadrimestrale, di mantenimento vedendola molto più curata e addirittura, per la prima volta abbronzata, certo non per il contributo di vacanze esotiche ma grazie al sole artificiale delle lampade, per la precisa volontà di piacere, nel complimentarmi con lei per l’aspetto curato e piacevole, dissi che certo molto più gratificante è l’andare al cinema, piuttosto che andare in pizzeria.
<Errore!!- Mi rispose- Quando io e le mie amiche andavamo al cinema ci riempivamo di pop-corn e coca cola e spesso nell’intervallo rifacevamo il pieno. Il vero piacere è finalmente potermi comprare una gonna decente>.
In effetti non era esattamente ciò che io intendevo con l’esortazione vai al cinema!
Come riuscire a sostituire la gratificazione dei cibi remunerativi rappresentati da – vegetali latte e latticini – con il piacere di specchiarsi?
Come evitare il lento ma quotidiano allontanarsi dal corpo e dal piacere di esporlo?

 

Diabete alimentare

LO STUDENTE AV-VI-SA-TO PUÒ ESSERE SALVATO… DAL DIABETE

L’Epidemiologia ha il cinismo dei numeri e sulla salute racconta in dettaglio anche le realtà spiacevoli che a volte possono sembrare ovvie: anche l’ovvio deve essere infatti indagato col metodo scientifico per poterlo definire, a ragion veduta, tale.

Nelle periferie vivono i cittadini meno abbienti; i cittadini meno abbienti vivono meno e si ammalano più di chi ha reddito familiare e livello d’istruzione superiori.

Queste constatazioni valgono per qualsiasi fascia d’età e quindi anche per i bambini: come testimonia uno studio denominato Av-Vi-Sa-To (Avvisi di Vita Sana a Torino – propensione allo sviluppo del diabete in relazione allo stile di vita VEDI).

Come ha scritto Marco Accossato su La Stampa: “Vivere alla periferia di Torino e frequentare le scuole più al margine della città è un fattore di rischio in più nella probabilità di ammalarsi di diabete. Lo dimostra lo studio Av-Vi-Sa-To realizzato su circa 600 studenti e sulle loro famiglie.” (vedi).

I risultati del Programma (Avvisi di Vita Sana a Torino – propensione allo sviluppo del diabete in relazione allo stile di vita, VEDI) sono stati presentati all’Unione Industriale di Torino il 27 ottobre scorso. La serata, organizzata dal Presidente del Rotary Club 45° Parallelo di Torino Prof. Giulio Diale ha visto la partecipazione di numerosi appartenenti al mondo della scuola. Oltre ai rappresentanti degli istituti scolastici dove il programma si è svolto, erano presenti i rappresentanti dell’Ufficio Scolastico Regionale che aveva dato l’autorizzazione allo svolgimento del progetto stesso.

Il diabete è una malattia grave, costosa da curare e in progressivo aumento soprattutto nella forma dell’adulto (Diabete di Tipo 2). Stili di vita non corretti (sedentarietà e dieta ipercalorica) ne favoriscono lo sviluppo, tuttavia è difficile cambiare abitudini soprattutto da adulti. Gli scopi di questo programma erano due: identificare il più precocemente possibile i ragazzi a rischio e diffondere un’informazione corretta sull’importanza di cambiamento delle abitudini di vita. Per questo motivo sono stati organizzati alcuni incontri didattici presso gli Istituti Scolastici che hanno aderito, è stato distribuito un questionario (FinDRiSc) per la valutazione del rischio nei genitori ed un questionario per la valutazione dello stile di vita degli alunni, infine è stata consegnata una lettera di presentazione per i Medici di Medicina Generale o i Pediatri di Libera Scelta. Durante la serata il diabetologo Alberto Bruno, responsabile scientifico del progetto, ha illustrato ai presenti i risultati del programma.

Av-Vi-Sa-To si è svolto durante l’anno scolastico 2013-2014 ed ha coinvolto 585 ragazzi delle scuole medie e la quasi totalità dei loro genitori. Le scuole che hanno partecipato allo studio rappresentavano tre differenti situazioni socio-ambientali: centro, periferia e provincia. I risultati emersi dall’analisi dei dati ha confermato come la predisposizione a sviluppare il Diabete di Tipo 2 sia più alta nelle classi socialmente svantaggiate, con un reddito più basso, una scolarità ridotta, un più alto tasso di soggetti migrati e come questa propensione sia accompagnata ad uno stile di vita poco salubre degli alunni (nelle scuole della periferia di Torino il 23% non fa praticamente attività fisica, il 16% non fa mai colazione al mattino, il 28% mangia merendine a scuola, il 4,6% fuma). Questi dati erano già noti e studiati in programmi di più ampio respiro condotti a livello nazionale o europeo ma in questa occasione è stato misurato anche la relazione con il rischio dei genitori dimostrando che avere una madre a più alto rischio si associa a comportamenti più sbagliati e verosimilmente a un rischio maggiore per l’alunno. Sulla scorta di questi risultati e per non disperdere preziose risorse sarà importante per il futuro concentrare gli sforzi di educazione ed informazione soprattutto i queste situazioni più critiche. Alla realizzazione del Programma hanno anche contribuito l’Università di Torino, il Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Torino (VSSP, vedi), l’Associazione di Bioetica Europea e Volontariato (BiEVol, vedi) e l’Associazione Diabetici Torino 2000 (vedi).

Di Nicola Ferraro

Helicobacter Pylory

BREATH TEST UREA PER HELICOBACTER PYLORY

Viene eseguito generalmente al mattino, dopo un digiuno di almeno 6 ore.
Si somministra una bustina di citrato di sodio e dopo 10 minuti, soffiando in un’apposita provetta, viene raccolto un primo campione di aria espirata. Viene quindi somministrata al paziente una piccola compressa di Urea-C13 e viene raccolto un nuovo campione di aria espirata in un’altra provetta dopo circa 30 minuti. Dalla quantità di CO2 marcata presente nel respiro dopo 30 minuti, si risale alla presenza di Hp nello stomaco:
l’Hp infatti, scinde l’urea in bicarbonato (e quindi anche CO2) ed ammoniaca e quindi nel paziente con una infezione da Hp, la CO2 marcata espirata dopo mezz’ora sarà di superiore a quella espirata da una persona senza infezione.
Questo test è rapido, indolore, economico e molto affidabile: rileva la presenza di Hp in tempo reale e può essere utilizzato anche per controllare se una eventuale terapia praticata è stata efficace nell’eradicare l’infezione da Hp.

Slomianski A1, Schubert T, Cutler AF. Urea breath test to confirm eradication of Helicobacter pylori. Am J Gastroenterol. 1995 Feb;90(2):224-6.
Di Rienzo TA1, D’Angelo G, Ojetti V, Campanale MC, Tortora A, Cesario V, Zuccalà G, Franceschi F. 13C-Urea breath test for the diagnosis of Helicobacter pylori infection. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2013 Dec;17 Suppl 2:51-8.

RICERCA NELLE FECI DEGLI ANTIGENI DI HELICOBACTER PYLORI

Questa metodica ricerca nelle feci, la presenza di un antigene dell’Hp, il cosiddetto antigene fecale (HpSA). La presenza dell’antigene è segno di infezione in atto ed è quindi un test più attendibile della ricerca di anticorpi nel sangue, tuttavia i falsi negativi (cioè la negatività del test quando invece l’ Hp è presente) sono superiori a quelli del’Breath Test da urea.

 

 

 

 

Bibliografia:

Suerbaum S, Michetti P. Helicobacter pylori infection. N Engl J Med. 2002;347:1175-86.

Go MF. Review article: natural history and epidemiology of Helicobacter pylori infection. Aliment Pharmacol Ther. 2002 Mar;16 Suppl 1:3-15.

Uemura N, Okamoto S, Yamamoto S, Matsumura N, Yamaguchi S, Yamakido M, Taniyama K, Sasaki N, Schlemper RJ. Helicobacter pylori infection and the development of gastric cancer. N Engl J Med. 2001;345:784-9.

Ndip RN, MacKay WG, Farthing MJ, Weaver LT.Culturing Helicobacter pylori from Clinical Specimens: Review of Microbiologic Methods. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2003;36:616-22.

Basset C, Holton J, Ricci C, Gatta L, Tampieri A, Perna F, Miglioli M, Vaira D. Review article: diagnosis and treatment of Helicobacter: a 2002 updated review. Aliment Pharmacol Ther. 2003;17 Suppl 2:89-97.

Versalovic J. Helicobacter pylori. Pathology and diagnostic strategies. Am J Clin Pathol. 2003 Mar;119(3):403-12.

Moayyedi P. Helicobacter pylori test and treat strategy for young dyspeptic patients: new data. Gut. 2002;50 Suppl 4:47-50.

Dieta chetogenica

DIETA CHETOGENICA A BASSO VALORE CALORICO (VLCKD – Very Low Calories Keto Diet)

La capacità ereditata dalla nostra storia evolutiva è quella di usare il grasso di deposito come fonte energetica. Nel corso dei millenni però il nostro organismo si è evoluto nelle capacità di accumulare energia attivando l’ormone INSULINA piuttosto che usare le riserve adipose attivando l’ormone GLUCAGONE come invece sono riusciti a fare i mammiferi marini o quelli che riescono a sopravvivere in salute digiunando per tutti i lunghi mesi invernali.

Introdurre una quantità di carboidrati eccessiva rispetto ai bisogni determina una alterazione del recettore insulinico responsabile di obesità e malattie cardiovascolari. Il tessuto adiposo addominale diventa via via sempre più grande e avido, sottraendo energia a muscoli sempre più deboli.
Per evitare livelli di glicemia patologici l’organismo immagazzina lo zucchero sotto forma di trigliceridi nel tessuto adiposo.
Non avendo più prede da inseguire – affrontare – abbattere, eliminare per un breve periodo gli zuccheri dalla dieta e più in generale tutti i vegetali e i latticini con potenzialità glicemizzanti, può determinare un benefico effetto disintossicante se adeguatamente assistito e controllato.
In assenza di carboidrati l’organismo è costretto a produrre energia dai grassi di deposito che liberati dal tessuto adiposo diventano la maggiore fonte di energia.

In pratica durante il digiuno il nostro corpo riesce a produrre lo zucchero necessario grazie alla gluconeogenesi cioè riesce a formare glucosio dagli aminoacidi dei muscoli e dall’acido lattico prodotto dallo sforzo ripristinando in questo modo i livelli di glicemia.
Nel fegato la gluconeogenesi consuma ossalacetato, ma questo prezioso elemento si esaurisce in fretta e quando viene meno blocca il ciclo di Krebs dell’epatocita.
L’acetil-CoA in eccesso è convertito in corpi chetonici (acetoacetato, idrossibutirrato e acetone) che escono dal fegato e attraverso il sangue raggiungono tutte le cellule.
I muscoli sono i principali consumatori dei corpi chetonici prodotti dal fegato per questo è bene fare del movimento nei 3 giorni di dieta chetogenica, inoltre le scorte muscolari di glicogeno e il continuo apporto di glucosio col sangue fanno sì che il muscolo, contrariamente al fegato, abbia ossalacetato a disposizione per ossidare l’acetil CoA nel ciclo di Krebs per molte ore. Quando la quantità dei chetoni prodotti dal fegato supera la capacità del muscolo di usarli, si accumulano nel sangue (chetonemia), sono filtrati dai reni e finiscono nelle urine (chetonuria), dove normalmente sono assenti.

L’ORGANO PRINCIPE DI TUTTO IL PROCESSO CHETOGENICO E’ IL FEGATO.
Il fegato funziona da termovalorizzatore; usa lo scarto della combustione dei grassi per formare i corpi chetonici spendibili come come tali in tutti gli organi e in particolare nel cervello e liberando il prezioso CoA che consente di continuare la beta ossidazione del grasso. La gluconeogenesi dura solo poche ore e serve per stabilizzare la glicemia tra un pasto e l’altro o per compiere sforzi aerobici come una lunga corsa. La chetogenesi dura molti giorni, come un lungo inseguimento di caccia e nonostante il digiuno permette di sentirsi energici e attivi grazie alla formazione dei corpi chetonici.

I cibi a basso Indice glicemico per chi soffre di sovrappeso, sono utili perché fanno ingrassare meno; in pratica se ne possono mangiare quantità maggiori senza ingrassare e sono altrettanto piacevoli. Per esempio l’orzo perlato, che si presta ad essere cucinato come il riso, ha un valore di 49 mentre il riso bianco ha un valore di moltiplicazione di 83; il pompelmo rosa con un indice di 36 va meglio delle arance che hanno un indice di 63.
Per l’eventuale aperitivo le arachidi vanno meglio delle tartine per accompagnare un calice di vino o un succo di pomodoro speziato.
PER DUE O TRE GIORNI ANCHE SOLO UNA VOLTA AL MESE PUO’ ESSERE UTILE ELIMINARE I CARBOIDRATI PER RICONQUISTARE LA CAPACITA’ DI AUTO CONTROLLO.
Sembra poco ma non lo è; in pratica potrebbe essere paragonato al sacrificio di un accanito fumatore che per tre giorni accettasse di non accendere una sigaretta!
Togliere gli zuccheri – o carboidrati che dir si voglia – dalla dieta diventa necessario quando anche mangiando poco non si riesce a perdere peso. L’industria alimentare ha ideato per questo scopo alimenti altamente tecnologici, sani e gradevoli in grado di sostituirsi a carne e pesce senza appesantire l’organismo e in particolare i reni.
Si tratta di alimenti che in qualche misura imitano i carboidrati senza aumentare i livelli di glicemia, come quelle sigarette elettroniche capaci di aiutare chi vuole smettere di esagerare con il fumo. Grazie al particolare rapporto fra macronutrienti e la mirata formulazione aminoacidica dei prodotti DHC-vitaprevent è possibile agire sui punti chiave dei processi che regolano il metabolismo energetico e indurre una perdita di peso esclusivamente a scapito delle adiposità.
I prodotti DHC-vitaprevent grazie alla loro componente proteica arricchita di aminoacidi essenziali, sono in grado di migliorare la texture cutanea donando alla pelle tonicità e luminosità, favorendo un dimagrimento armonioso e visibile in breve tempo. I prodotti DHC-vita prevent, nonostante un indice glicemico molto basso, grazie alla continua ricerca, sono in grado di mediare tra la necessità di soddisfare i palati più esigenti con caratteristiche nutrizionali molto particolari volte al miglioramento della massa magra.

Per valutare i risultati del sacrificio dietetico è necessario dosare i chetoni delle urine. I chetoni sono il risultato del metabolismo del tessuto adiposo, si formano quando si consuma più zucchero di quanto se ne introduca e l’organismo è costretto a fare ricorso alle riserve di grasso. Mediante il KETUR TEST è possibile stabilire se si comincia a “dimagrire”. Più il test risulta positivo (+) più si perde peso.
Nei tre giorni di dieta chetogenica è importante che si tenga un piccolo diario alimentare e s’infili un contapassi nella gonna, nei pantaloni o addirittura direttamente nelle stringhe delle scarpe per valutare passi compiuti e il tempo impiegato in modo tale da poter confrontare il risultato ottenuto sia in termini di peso perso sia di positività al Ketur Test.
Controindicazioni importanti a questi 3 giorni di dieta non ve ne sono ma è bene agire con buon senso e ponderare con cura quando iniziare questo che potrebbe essere definito come un digiuno di disintossicazione dall’eccesso di carboidrati per persone in sovrappeso.
Non seguire questa dieta quando:

  • NON CI SI SENTE IN BUONA SALUTE
  • C’È FEBBRE O SI ASSUMONO ANTIBIOTICI
  • SE SI È NEL PERIODO MESTRUALE
  • SE SI SOFFRE DI NAUSEA O DI PATOLOGIE DEBILITANTI

Assumere un integratore di Potassio o Potassio e Magnesio dopo colazione ma fare attenzione che sia SOLO IN CAPSULE o COMPRESSE, evitando bustine o compresse effervescenti per la questione dei carboidrati aggiunti. Bere circa 2 litri di acqua al giorno. Fare uso di una tisana per regolare l’intestino che ricevendo poche fibre potrebbe impigrirsi, bere the, caffè oppure orzo solubile ma evitare di aggiungere zucchero latte o dolcificanti. Evitare anche le caramelle o le gomme che riportano la scritta “senza zucchero”.

Primo giorno:

COLAZIONE……… Ora.(….)……e cosa si è mangiato….
Es.: una porzione di BISCOTTI DHC-Vintapervent al gusto di CIOCCOLATO; Un caffè lungo, senza aggiunta di dolcificanti, zucchero o latte.

PRANZO……… Ora..(…)……e cosa si è mangiato….
Es.: Shaker al caffè DHC-Vintapervent (adatto per chi sta fuori casa tutto il giorno) oppure: una porzione di Pasta al 60% di proteine condita a piacere e preferibilmente con sugo di carne o pesce per chi rimane a casa.

FUORI PASTO………… Ora ..(…)….e cosa si è mangiato….
Es.: uno Snack di soia al Barbecue DHC-Vintapervent (per chi preferisce il salato) oppure un Brick alla vaniglia per chi ama il gusto dolce.

CENA……… Ora..(…)……e cosa si è mangiato….
Es.: Minestra ottenuta dalla CREMA ALLE VERDURE che si può integrare con BUDINO AL CICCOLATO.

E’ meglio evitare tempi di digiuno superiori alle 4 ore, pertanto se sappiamo che il pranzo non sarà alle 12 in punto ma certamente slitterà come d’abitudine oltre le 13, è bene fare uno spuntino a metà mattina e così procedere nel pomeriggio.

Cerchiamo di fare del movimento

Primo giorno:
– 
Evitare l’ascensore
 Scendere una fermata prima dal mezzo che abitualmente prendiamo per recarci a scuola o al lavoro.
 Con il contapassi cercare di arrivare a circa 4000
 Fare brevi esercizi a corpo libero

Secondo giorno: cerchiamo di ripetere esattamente ciò che si è fatto nel primo e la sera misuriamo i chetoni con il Ketur test. Se la striscetta si colora anche solo debolmente di rosa che indica il primo livello di positività, il nostro impegno è stato promosso.
Se è assolutamente chiaro riprovare la mattina del terzo giorno a digiuno e procedere come nei giorni precedenti senza trascurare il movimento e gli INTEGRATORI.
Se anche al mattino del quarto giorno il Ketur Test è negativo, non è il caso di perdersi d’animo perché può dare ottimi risultati quando verrà ripetuto dopo due settimane. Se il Ketur test anche nel secondo ciclo fosse chiaro è bene cambiare gli alimenti metabolici Dhc-vitaprevent. In questo caso il diario ci sarà di aiuto per memorizzare il rapporto tra alimenti metabolici Dhc-vitaprevent e il dimagrimento.

 

Bibliografia:

M Hamosh,
“Lipids in (human) milk and the first steps in their digestion”. 
Pediatrics, (1985); Vol. 75, 146-150.

JL Bierenbaum, 
“Modified-fat dietary management of the young male with coronary disease: a five-year report,”.JAMA,
(1967); Vol. 202, 1119-1123.

S.G. Hasselbalch,
Am J Physiol, “Changes in cerebral blood flow and carbohydrate metabolism during acute hyperketonemia,”  
(1996), Vol. 270, E746-51.

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“D-b-Hydroxybutyrate protects neurons in models of Alzheimer’s and Parkinson’s disease”. 
Including RL Veech, PNAS, (2000), Vol. 97 No. 10, 5440-5444.

MA Reger, ST Henderson, 
“Effects of b-Hydroxybutyrate on cognition in memory-impaired adults,” 
Neurobiology of Aging, (2004); Vol. 25, 311-314.

TB VanItallie, TH Nufert, 
“Ketones: Metabolism’s Ugly Duckling”. 
Nutrition Reviews, Vol 61, No 10, 327-341.

GF Cahill, Jr, 
“Fuel Metabolism in Starvation”.  
Annual Reviews in Nutrition, (2006), 26:1-22.

ST Henderson, 
“Ketone Bodies as a Therapeutic for Alzheimer’s Disease”.  
Journal of the American Society for Experimental Neuro-Therapeutics, Vol 5, 470-480, (July 2008);

 

Dieta chetogenica normocalorica

La “dieta chetogenica” è uno strumento importante in tutta una serie di situazioni cliniche. 

La premessa su cui si basa è la capacità del nostro organismo di utilizzare con grande efficacia le riserve di grasso quando la disponibilità di carboidrati sia notevolmente ridotta.
La dieta chetogenica, sin dal 1920, è stata utilizzata per controllare le crisi epilettiche in pazienti pediatrici affetti da epilessia non trattabile con i farmaci. Negli ultimi anni si è registrato un rinnovato interesse della comunità scientifica nei confronti di questo regime alimentare, con l’avvio di promettenti filoni di indagine sull’utilizzo della chetogenica oltre che per il trattamento dell’obesità anche per quello di altre patologie come certe forme tumorali, alcune patologie neurologiche come Alzheimer e Parkinson, il Diabete e la Sindrome Metabolica.

 

Secondo gli amici americani nel paleolitico i nostri antenati si nutrivano routinariamente di bacon, tipico alimento tutto naturale. Una chetogenica ben disegnata non va confusa con regimi alimentari basati su assunti scientifici mal interpretati

La fisiologia della dieta chetogenica

Il tessuto adiposo in un individuo del peso di 70 kg, ammonta a oltre 10 kg anche negli atleti, mentre le scorte di carboidrati ammontano a poco meno di mezzo kg. È evidente che le riserve di zuccheri possono garantire energia per periodi di tempo molto limitati, mentre i grassi rappresentano una riserva ingentissima di energia. Quando il glucosio scarseggia la maggior parte di organi e tessuti può utilizzare acidi grassi come fonte di energia, o può convertire altre sostanze in zuccheri, soprattutto alcuni aminoacidi come alanina e glutammina, attraverso un processo chiamato gluconeogenesi.
Cervello e Sistema Nervoso Centrale, globuli rossi, e fibre muscolari di tipo II non sono in grado di utilizzare gli acidi grassi liberi, ma in condizioni di carenza di glucosio possono utilizzare i corpi chetonici, sostanze derivate dalle scorte di grasso, la cui concentrazione in condizioni normali, è molto ridotta mentre sale nel digiuno prolungato e quando per un lungo periodo si sta senza carboidrati.
L’aumento dei corpi chetonici nel sangue conseguente al digiuno o alla riduzione severa dell’apporto di carboidrati con la dieta è una condizione del tutto naturale definita chetosi.
I chetoni in eccesso, non utilizzati a livello dei tessuti, vengono eliminati attraverso la respirazione in forma di acetone, che impartisce il caratteristico fiato acetosico, e tramite le urine, dove l’eccesso di acidità è tamponato da contemporanea eliminazione di sodio, potassio e magnesio, ecco perché è importante ricorrere agli integratori durante questo periodo.

Chetosi e chetoacidosi

La chetosi fisiologica in un soggetto sano non va assolutamente confusa con la chetoacidosi diabetica, una condizione estremamente grave, potenzialmente fatale, che può svilupparsi in soggetti affetti da diabete di tipo I quando vengano a mancare le necessarie somministrazioni di insulina. In queste condizioni, pur in presenza di un’elevata glicemia, si assiste a un progressivo aumento di corpi chetonici nel sangue, su valori pari o superiori a 25 mmol/dl, con un loro progressivo accumulo in circolo e scarsa o nulla utilizzazione a livello dei tessuti. Questo provoca un netto calo del pH del sangue che può crollare a valori inferiori a 7.30, con conseguenze talvolta fatali senza un tempestivo intervento.

 

Le modalità della dieta chetogenica

Due sono gli elementi alla base dei protocolli di dieta chetogenica più comunemente utilizzati:
Riduzione dell’apporto giornaliero di carboidrati al di sotto dei 50 g al giorno. Quando il consumo di carboidrati superi questo valore soglia non sarà possibile indurre lo stato di chetosi, anche con apporti di CHO inferiori ai 150g/die.
Quando non si parla di dieta chetogenica ma di VLCD (Very Low Calories Diet) si intende una riduzione dell’apporto calorico al di sotto delle 1200 kcal al giorno, più spesso intorno alle 800/900 kcal/die mediante l’uso di pasti sostitutivi che evitano di dover pesare gli alimenti.
Il contributo proteico, al contrario di quanto comunemente si crede, viene mantenuto su valori normali, che oscillano intorno ad un grammo per kg di peso corporeo, attestandosi intorno ai 50/80 grammi giornalieri a seconda delle caratteristiche del paziente. Ovviamente le proteine devono provenire da alimenti molto poveri o privi di grassi: sono quindi favoriti pesce, carne. In specifici casi è possibile ricorrere all’uso di integratori proteici per raggiungere il fabbisogno giornaliero stimato.
L’apporto di grassi dovrebbe oscillare tra i 15 e i 30 grammi al giorno, con netta predilezioni verso cibi ricchi di grassi insaturi di buona qualità come olio extravergine di oliva e pesce. Da evitare carni grasse, salumi, formaggi stagionati, margarina.
Non è permesso il consumo di nessun tipo di frutta e di delle verdure a elevato contenuto di carboidrati come rape rosse, patate e carote cotte.
Integratori di sali, vitamine e perle di omega 3 possono esser necessari, visto il ridotto e selezionato apporto di cibi.
Tra i disturbi più comunemente riportati, specie nei primi giorni, ci sono mal di testa, che in genere scompare una volta raggiunta la chetosi, e stitichezza, dovuta alla decisa riduzione del volume di cibo consumato: per scongiurare situazioni di questo tipo è importante che il soggetto mantenga un elevato consumo di acqua durante la fase di dieta, intorno ai due litri giornalieri.
Ovviamente la dieta chetogenica non può essere protratta indefinitamente nel tempo: la maggior parte degli studi suggerisce che il piano alimentare chetogenico venga utilizzato per un periodo di 8/12 settimane. Al termine del percorso chetogenico il paziente deve essere guidato al progressivo reinserimento di alimenti contenenti carboidrati, con un passaggio graduale a uno stile alimentare sostenibile nel lungo periodo, una vera dieta mediterranea, che possa permettere di mantenere i risultati raggiunti nel tempo, tasto dolente di molti dei modelli alimentari proposti per il dimagrimento.

Contrariamente a quanto si pensa la dieta chetogenica non è iperproteica perché sono i grassi a farla da padrone.

Quando è indicata la dieta chetogenica?

Alcuni studi preliminari indicano un possibile ruolo della dieta chetogenica nel trattamento di patologie del sistema nervoso come Parkinson e Alzheimer, grazie alla capacità dei corpi chetonici di ridurre il danno cellulare. Si tratta comunque di ambiti che richiedono una più approfondita investigazione.
Studi molto promettenti sono quelli riguardanti l’applicazione della dieta chetogenica nel trattamento della sindrome metabolica, dell’iperglicemia, del diabete e della steatosi non alcolica del fegato, con miglioramenti rilevanti nel quadro clinico dei pazienti trattati.
Chi non può fare la dieta chetogenica?
La dieta chetogenica è controindicata nei seguenti casi:
gravidanza e allattamento;
insufficienza renale;
insufficienza epatica;
diabete di tipo I;
porfiria, angina, infarto miocardico recente;
alcolismo;
disturbi mentali.
Contro la dieta chetogenica si sono scagliati alcuni nefrologi preoccupati per il potenziale danno renale, occorre precisare che diete chetogeniche condotte correttamente sono essenzialmente normoproteiche.
In effetti i pochi studi che hanno rilevato potenziali effetti negativi causati da diete chetogeniche sono riferiti a diete con protocolli, ad elevato contenuto di proteine invece dei grassi.

RICETTE

PRIMA COLAZIONE – “Assiette di formaggi”

Ricotta 45 g
Formaggino 50 g
Nocciole 22 g
Saccarina q.b.
Noci di macadamia 15 g

Si può aggiungere una tazza di caffè oppure caffè d’orzo

PRIMA COLAZIONE – “Assiette di formaggi”

Uovo intero strapazzato con panna al 35% (30 g)
Olio MCT 25 g
Pane di segale tostato 20 g

Si può aggiungere una tazza di caffè oppure caffè d’orzo dolcificato con saccarina (q.b.)

PRIMA COLAZIONE – “Bavarese alla nocciola con bevanda calda al caffè”

Mascarpone 85 g
Protifar  (Nutricia) 7 g
Nocciole 21 g
Burro 3 g
Fragoline di bosco 15 g
Ketocal 4:1 (Nutricia) 30 g
Preparare la bevanda scaldando 150 ml di acqua con il Ketocal  (Nutricia). Aggiungere un
cucchiaino di caffè decaffeinato e la saccarina. Preparare la bavarese mescolando a temperatura ambiente mascarpone, burro e le nocciole passate al mixer, dolcificare a piacere. Guarnire con le fragoline di bosco e
lasciare in frigo fino al momento del consumo.

PRIMA COLAZIONE – “Crepès al cioccolato”

Uovo intero 50 g
Ketocal 4:1 (Nutricia) 35 g
Nocciole 10 g
Burro 14 g
Panna al 35% di grasso 40 g
Cacao amaro in polvere 10 g
Mascarpone 20 g
Fragole 25 g

Preparare la crepès unendo l’uovo strapazzato e pesato, metà della panna , il Ketocal e cuocerla usando l’apposito padellino. Preparare la crema al cioccolato unendo il mascarpone, il burro , il cacao e le nocciole tritate. Dolcificare con saccarina. Spalmare la crepes con la crema e chiuderla a libro. Guarnire con le fragole e servire con una mug di caffè macchiato la rimanente panna.

PRANZO O CENA  “Pizza bianca farcita”

Pane carta da musica 3 g
Mozzarella di bufala 50 g
Bresaola 21 g
Rucola 5 g
Olio d’oliva 15 g

Preparare la pizza bianca mettendo alla base il pane leggermente bagnato con acqua quindi farcirlo con la mozzarella. Scaldare 1 o 2 secondi nel microonde. Aggiungere la bresaola e guarnire con la rucola. Preparare un piccolo dessert alla nocciola con il mascarpone, le nocciole tritate finemente, il burro e la lecitina, saccarina ed aroma a piacere q.b.

PRANZO O CENA – “Zuppa di legumi alla toscana”

Ceci in scatola 60 g
Fagioli in scatola 65 g
Cipolla bianca o rossa 10 g
Grana 30 g
Olio extravergine di oliva 15 g
Lecitina di soja 10 g
Ketocal 4:1 (Nutricia) 20 g

Nel coccio piccolo preparare il brodo vegetale; aggiungere i legumi, la cipolla , l’olio, una foglia di salvia, alloro e un rametto di rosmarino. Cuocere fino a completa cottura, salare e pepare. Aggiungere prima di servire il grana grattugiato e la lecitina.
Terminare il pasto con 60 ml di bevanda al caffè preparata con il Ketocal  (Nutricia), il caffè decaffeinato e la saccarina.

PRANZO O CENA – “Hamburger di manzo con insalata di carote e lattuga”

Polpa scelta di manzo macinata 50 g
Lattuga 30 g
Carote 30 g
Maionese (fatta in casa) 30 g
Olio extravergine d’oliva 10 g
Olive nere 10 g
lecitina di soia 5 g

PRANZO O CENA “Tagliatelle panna e prosciutto”

Tagliatelle  shirataki a base di glucomannani 150 g
Prosciutto cotto 40 g
Panna da cucina 30g
Grana 17 g
Olio extravergine di oliva 15 g
Radicchio rosso o trevisana 55 g
Maionese (fatta in casa)  10 g
Panna al 35% di grasso 30 g
Burro 3 g
Ketocal 4:1 (Nutricia) 10 g

Tagliare il prosciutto a cubetti e scaldarlo con la panna da cucina, la metà dell’olio, salare e pepare. Scolare le tagliatelle e condirle con il sugo. Aggiungere il grana grattugiato. Lavare e pesare il radicchio e condirlo con un’emulsione fatta la restante quantità di olio e la maionese.
Preparare la panna cotta al caffè aggiungendo alla panna da scaldare la colla di pesce precedentemente ammollata e strizzata, il caffè solubile, il Ketocal (Nutricia)  e dolcificare con saccarina. Lasciare raffreddare a temperatura ambiente e mettere in frigo fino al momento del consumo.

 

 

Bibliografia:
The therapeutic implications of ketone bodies: the effects of ketone bodies in pathological conditions: ketosis, ketogenic diet, redox states, insulin resistance, and mitochondrial metabolism.
Richard L Veech.
Laboratory of Membrane Biochemistry and Biophysics, National Institutes of Alcoholism and Alcohol Abuse, 12501 Washington Ave., Rockville, MD 20850, USA

Sondino naso-gastrico per dimagrire

Dai dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Istituto Superiore della Sanità, l’obesità rappresenta una vera e propria epidemia. In Italia il 42% della popolazione è in sovrappeso, mentre un italiano su dieci è affetto da vera e propria obesità. Curare l’obesità significa curare tutte le patologia ad essa correlata, quali il diabete, l’ipertensione arteriosa, l’eccesso di colesterolo e di trigliceridi, la tendenza alla calcolosi delle via biliari, la dispnea e le apnee notturne.
Uno studio presentato dall’ I.S.S. (Istituto Supeiore della Sanità) dimostra come alcune regioni del sud siano maggiormente colpite da sovrappeso e obesità. La D.E.A. (dietoterapia enterale aminoacidica) è uno strumento atto a ridurre il peso corporeo quando le diete dimagranti non sortiscono i loro effetti oppure quando i tempi del dimagramento devono essere rapidi, per esempio per ridurre i rischi operatori per interventi chirurgici.

 

D.E.A. – DIETOTERAPIA ENTERALE AMINOACIDICA

Il metodo D.E.A. è un regime nutrizionale per la riduzione del sovrappeso, dell’obesità e della cellulite secondo un protocollo terapeutico che segue linee guida validate con altri specialisti in Scienza dell’Alimentazione.
Come qualsiasi atto terapeutico comporta specifici iter ed accertamenti clinico-strumentali.

Il metodo D.E.A. per la riduzione del sovrappeso e per la cura dell’obesità, è stato inserito nel nostro protocollo terapeutico per vincere quelle battaglie contro l’eccesso di peso che sembravano perdute essendosi dimostrato per efficacia e tempistica paragonabile ai risultati che si ottenevano a seguito dell’intervento di chirurgia bariatrica anche se confinati ai brevi periodi di trattamento, senza per altro averne tutti gli effetti collaterali di tipo permanente.
Accanto alle tecniche tradizionali (terapia nutrizionale, cognitivo-comportamentale, intervento sullo stile di vita e terapia farmacologica), il metodo D.E.A. rappresenta una nuova straordinaria opportunità in caso di fallimento dei trattamenti specialistici per il controllo del peso.
Credo come altri medici della stessa associazione di Specialisti in Scienza dell’Alimentazione di cui faccio parte che il limite di tale strategia risieda nel fatto che, proprio per la facilità d’impiego e per la sua efficacia e la relativa assenza di gravi effetti collaterali, sia utilizzata come metodica fine a se stessa. Se invece venisse intesa come una metodica che si aggiunge al mosaico degli interventi nella terapia del comportamento alimentare e delle alterazioni metaboliche per lo più di tipo genetico pertanto croniche, del paziente che ha difficoltà nel controllare il proprio peso, non potrà che avere successo. Inoltre è importante non fermarsi al solo dato dei chilogrammi persi e comprendere che l’esame della composizione corporea eseguito prima e dopo il trattamento, mediante uno strumento medico certificato, consente di dare la giusta importanza alla miscela di proteine, aminoacidi, vitamine, sali minerali che sono stati impiegati, per evitare la perdita della massa magra metabolicamente attiva.

DOMANDE FREQUENTI CIRCA LA METODICA DEA E LA GESTIONE DEL TRATTAMENTO……

Qual è la differenza tra DEA, NAC, NED, NEP e DIETA DEL SONDINO?
Perché dovrei scegliere la DEA e non una dieta dimagrante ipocalorica?
Come si svolge il trattamento?
Questo tipo di metodica può creare danni al nostro organismo, trattandosi di alimentazione proteica?
Si possono assumere farmaci?
Durante la DEA posso mangiare o bere qualcosa?
Durante la DEA posso lavorare o fare sport?
Quanto grasso si elimina con la DEA?
Quanto dura il trattamento e si può ripetere?
Quando la DEA?
E quando no?

Qual è la differenza tra DEA, NAC, NED, NEP e DIETA DEL SONDINO?

Le sigle si riferiscono al medesimo trattamento dimagrante. La DEA si differenzia per la composizione in aminoacidi essenziali, personalizzata per ogni singola tipologia di obesità. Se prevale ad esempio l’obesità addominale, detta anche a “mela” il protocollo DEA prevede specifici aminoacidi da introdurre nella sacca che saranno diversi rispetto alla miscela di aminoacidi necessari per la cura dell’obesità ginoide, detta anche a “pera”.

Perché dovrei scegliere la DEA e non una dieta dimagrante ipocalorica?

Sebbene lo scopo dei due trattamenti sia quello di determinare riduzione della massa grassa in eccesso, anche se con modalità differenti, con la DEA il grasso in eccesso viene eliminato molto più rapidamente rispetto alle diete dimagranti, il tutto sfruttando delle risposte naturali del nostro organismo. Tuttavia non deve essere considerato come il trattamento iniziale del peso ma il modo con il quale superare la situazione di sfiducia e rassegnazione che assale chi non riesce a ottenere risultati significativi nonostante lo desideri.

Come si svolge il trattamento?

Al paziente sono richiesti una serie di esami ematochimici a seguito di una visita Specialistica Dietologica, come da protocollo, eseguita qualche giorno prima del trattamento. Viene raccolta l’anamnesi, eseguito un esame obiettivo, misurato il peso mediante bilancia medica SECA 711 (portata 220kg), l’altezza, la circonferenza addominale e i diametri corporei mediante antropometro Holtain. Si esegue una misurazione della composizione corporea con strumento multicanale Akern BIA 101 per la determinazione della massa grassa, della massa magra e dell’acqua corporea. La valutazione clinica è completata dall’esame elettrocardiografico e dalla somministrazione di un questionario predisposto dalla nostra psicologa per la valutazione di un eventuale supporto psicoterapeutico.
Se la valutazione del caso clinico e degli esami richiesti lo consentono, il paziente viene ricevuto per una seconda visita durante la quale si illustra la metodica, si prescrivono gli aminoacidi e le vitamine, si determinano i giorni del trattamento, e si passa all’applicazione del sondino.
Mentre il paziente sorseggia dell’acqua da una cannuccia, il minisondino pediatrico in poliuretano è inserito delicatamente dal medico attraverso una narice. Il sondino è trasparente, molto sottile ed è fissato con un cerotto anallergico senza dare alcun fastidio.
Viene quindi consegnata la pompa nutrizionale in comodato d’uso ed il kit necessario per il numero di giorni di trattamento. Una dietista illustra il funzionamento della nutripompa, da portare con sé 24 ore su 24 nell’apposita borsa data in dotazione e spiega la dinamica del cambio sacche e della pulizia dei raccordi.
La miscela di proteine del latte e di aminoacidi sarà l’unico nutrimento da assumere durante i giorni di trattamento attraverso la nutripompa che distribuirà con la sua attivazione ogni 40 secondi, l’equivalente di 85 ml di nutrimento all’ora. Non si tratta di farmaci, ma di semplici alimenti presenti in natura e purificati.
I pazienti che soffrono di allergie verso le proteine del latte, possono usufruire di un kit specifico costituito da proteine derivate dalla soia.
Durante la DEA non si avvertirà alcun senso di fame per via dell’azione dei corpi chetonici autoprodotti dal nostro organismo quando bruciamo i grassi di riserva.
Al termine del trattamento il paziente sarà sottoposto ad altri semplici accertamenti clinici ambulatoriali per la quantificazione del grasso eliminato.

Questo tipo di metodica può creare danni al nostro organismo, trattandosi di alimentazione proteica?

La miscela di proteine derivate dal siero di latte che viene somministrata si ottiene dalla microfiltrazione e successiva ultrafiltrazione del siero, basti pensare che da 1 litro di latte si ricavano solo 8 grammi di siero proteine. Tale miscela sarà quantitativamente calcolata in base alle esigenze metaboliche del paziente e addizionata di aminoacidi in forma personalizzata. Quindi non si tratta di una dieta iperproteica in quanto la quantità di proteine somministrata è la minima prevista ed è appena 70/80 grammi.
Per il nostro sistema epatico e renale non sarà un peso smaltire questo leggero carico metabolico per così breve tempo. La chetosi è pericolosa quando manca l’insulina come accade nei bambini affetti da diabete di tipo 1 detto insulino-dipendente. La più importante causa dell’aumento di peso è al contrario l’eccesso di insulina e la conseguente insulino-resistenza. In questo caso la chetosi di 10 giorni, opportunamente monitorata e seguita non è un rischio per la salute anzi è un modo per disintossicare l’organismo dall’eccesso di nutrienti.
Naturalmente bisogna affidarsi a Centri Medici qualificati, diretti da Specialisti nel settore della Dietologia e della Gastroenterologia.

Si possono assumere farmaci?

Durante la DEA si possono assumere, quando necessari, i farmaci prescritti. Durante la visita specialistica il medico darà disposizione in merito a tale argomento. A dimostrazione degli effetti positivi indotti dalla DEA basti pensare che i pazienti obesi, se affetti anche da diabete o ipertensione, durante i giorni del trattamento, dovranno ridurre o addirittura sospendere la cura con farmaci antidiabetici o ipertensivi, in quanto l’ipertensione e l’iperglicemia tenderanno a normalizzarsi spontaneamente.
Bisogna evitare completamente farmaci che contengono zucchero (antitosse, espettoranti) o ciclammati, compresse effervescenti, bustine. Alcuni farmaci poi necessitano di particolari accorgimenti, ad esempio la pillola anticoncezionale, gli antiepilettici o gli antibiotici dovranno essere assunti almeno due ore prima dei purganti prescritti con la DEA.

Durante la DEA posso mangiare o bere qualcosa?

Il successo del trattamento dipende dal fatto che esso sopprime il senso di fame, poiché sviluppa i corpi chetonici. Pertanto anche l’ingestione di una piccola caramella bloccherebbe tutta la reazione provocando fame e vanificando i risultati. Possiamo bere caffè, tisane, the purché non zuccherati e non dolcificati. Anche una semplice caramellina, anche di quelle che riportano la scritta “senza zucchero” interromperebbe per diversi minuti il complesso sistema metabolico che è alla base del successo terapeutico e si avrebbe senso di fame. Non ci si deve dimenticare di bere almeno due litri al giorno di acqua naturale.

Durante la DEA posso lavorare o fare sport?

L’applicazione del sondino non ci impedisce di tornare alla vita di tutti i giorni. Tuttavia attività pesanti o che prevedano spostamenti in auto o in aereo andrebbero limitati o eseguiti senza stancarsi.
Esistono tuttavia diversi protocolli DEA a seconda delle necessità lavorative e di questo bisognerà parlarne al primo incontro con i nostri specialisti. L’attività lavorativa e fisica che richieda sforzi intensi e improvvisi andrebbe limitata. L’attività sportiva va limitata a semplici passeggiate o cyclette senza stancarsi. Si richiedono 8000 passi al giorno. Per questo motivo il kit consegnato al paziente in comodato d’uso comprende anche un comodo contapassi.

Quanto grasso si elimina con la DEA?

E prevista una riduzione dell’1% di massa grassa al giorno, se tutto viene eseguito a dovere! Gli adipociti sono molto voluminosi pertanto la loro riduzione apparirà molto evidente.

Quanto dura il trattamento e si può ripetere?

Il trattamento è previsto da un minimo di quattro ad un massimo di dodici giorni, a seconda del protocollo terapeutico che verrà impostato. All’inizio di ogni nuovo trattamento, dopo un intervallo di dieci o venti giorni saranno ripetuti gli esami ematochimici e strumentali della prima volta e i cicli si potranno ripetere sino al raggiungimento del peso programmato, sempre seguiti dal Medico Specialista.

Quando la DEA?

Quando c’è una risposta insoddisfacente (fallimento di almeno due trattamenti specialistici per il controllo del peso) o troppo lenta (una riduzione inferiore al 5% del peso negli ultimi due anni con terapie convenzionali).
– Obesità nei cardiopatici
– Obesità nei diabetici
– Apnee notturne
– Infertilità di coppia o squilibri ormonali femminili in soggetti obesi
– Atleti in sovrappeso che necessitano di un rapido rientro nel peso forma
– Professionisti dello spettacolo che necessitano di rimodellare in poco tempo il proprio fisico
– Riduzione del Rischio Operatorio in pazienti in sovrappeso da sottoporre a interventi chirurgici di routine
– Riduzione del Rischio Operatorio in pazienti “grandi obesi” da sottoporre a chirurgia bariatrica, es. by-pass gastroenterico

E quando no?

Criteri di esclusione al trattamento sono solo le gravi patologie renali (creatinina>1,4mg/dl), disturbi alimentari psichiatrici, patologie psichiatriche gravi, gravidanza, tossicodipendenza, ipokaliemia, allergia alle proteine del latte e in tutti i casi nei quali sia controindicato il dimagrimento con qualsiasi metodo. E’ sconsigliata inoltre nei minori e nelle persone di età superiore a 70 anni.

La metodica DEA si integra inoltre in un preciso programma di rieducazione del comportamento alimentare e dello stile di vita.

La prima fase consiste nell’applicazione di un sondino naso gastrico pediatrico trasparente e di piccolissime dimensioni (2mm), morbido e privo di lattice o ftalati per evitare qualsiasi possibile irritazione, mediante il quale viene somministrata direttamente nello stomaco una soluzione nutritiva composta da proteine del latte, aminoacidi essenziali, vitamine e sali minerali (D E A formula). Il sondino naso gastrico è mantenuto da un minimo di 4 giorni per diminuire adiposità localizzate fino ad un massimo di 12 giorni per forme di grave obesità.

La seconda fase inizia con la rimozione del sondino e prosegue per 24 o 48 ore con una dieta a base di proteine ultramicrofiltrate con aggiunta di aminoacidi, vitamine e sali minerali durante il giorno, mentre la sera è possibile assumere una portata di carne bianca.

La terza fase per evitare l’aumento di peso in questo delicato momento di transizione, per una settimana a cena si assumerà una portata di carne bianca o pesce magro tipo nasello mentre a colazione, a pranzo e nel fuori pasto si assumeranno i cibi DHC-vitaprevent per il metodo DEA.
Questi alimenti grazie alla particolare composizione proteica hanno un alto valore plastico e metabolico, inoltre grazie al basso residuo azotato non appesantiscono i reni. I cibi DHC- per il metodo DEA evitano la sensazione di fame e il recupero del peso perduto. In questo modo la maggior parte dei pazienti registrano un ulteriore calo ponderale del 2-3% nonostante che nei 10 giorni di DEA col sondino abbiano perduto circa il 10% del peso iniziale.

La quarta fase consiste nella progressiva ripresa della dieta ABC seguendo la successione dei pasti in base alla data mentre a colazione si ha la libertà di scegliere a piacere tra:

  1. Yogurt (125 cc. di qualunque gusto e tipologia) con due cucchiai di fiocchi d’orzo e frutta (qualunque tipo di frutta ma nella quantità di “un pugno”, che si tratti di cocomero o mirtilli)
  2. Fette biscottate con marmellata o miele stesi a velo e come bevanda calda bere the oppure orzo solubile o caffè. Evitare latte e biscotti.

Il protocollo DEA scaturisce da un’ attenta e scientifica osservazione dei numerosi studi clinici eseguiti con metodiche differenti nel corso degli anni in ogni parte del mondo e principalmente sulla “Ketogenic Diet” e sul trattamento dell’obesità e delle adiposità localizzate. L’esperienza clinica e lo studio di recenti lavori, vanto della Scienza Medica Italiana, mi hanno indotto a perfezionare un protocollo terapeutico che, nella sua semplicità e naturalità, ha effetti curativi sul sovrappeso, sull’obesità, sulla cosiddetta “cellulite” distrettuale e diffusa, e sui dismetabolismi. Il protocollo che ho elaborato inizia con una attenta valutazione clinica dei singoli pazienti, preliminare all’inserimento in terapia, e continua con un’assistenza medica e psicologica nel periodo di mantenimento e rieducazione alimentare, che i miei pazienti hanno potuto apprezzare nel corso dei venticinque anni di professione medica unicamente dedicata alla cura dell’obesità e delle alterazioni del comportamento alimentare con profonda dedizione.

Dott. Claudio Saluzzo

 

Proteine nella dieta

FONTI ALIMENTARI DELLE PROTEINE

Le proteine di origine animale sono, dal punto di vista nutrizionale, più complete rispetto a quelle di origine vegetale in quanto contengono tutti gli aminoacidi essenziali. Per questo motivo vengono denominate proteine nobili o complete. Le proteine di origine vegetale sono invece carenti di uno o più aminoacidi essenziali e vengono chiamate incomplete o povere: chi non assume alimenti di origine animale (vegani o vegetariani) deve quindi combinare in modo opportuno diverse fonti di proteine vegetali, in modo da assicurarsi un apporto sufficiente per ogni aminoacido essenziale.

 

         

 

Contenuto in proteine per 100gr. di alimento

PARMIGIANO REGGIANO 33,3% SARDINE ALLA PIASTRA 32,3 BRESAOLA 32%
FESA DI TACCHINO SALATA 29,6% SALMONE AFFUMICATO 25,4% LENTICCHIE 23,5%
TONNO 23% GORGONZOLA 23% PETTO DI POLLO 22,8%
MORTADELLA DI TACCHINO 22,4% PROSCIUTTO COTTO 22% SARDINE IN CONSERVA 22%
CARNE DI MAIALE 21,2% CARNE DI BUE 21% FORMAGGIO PECORINO 21%
FILETTO DI VITELLO 20,7% CARNE MAGRA DI MANZO 20,7% POLLO ALLA PIASTRA 20,6%
FEGATO DI VITELLO 20,5% GAMBERI 21% CECI 20%
MANDORLE 20% CARNE MAGRA DI MAIALE 20% AGNELLO 18%

 

FUNZIONE PLASTICO-STRUTTURALE

Le proteine, costituenti principali delle cellule, hanno il compito di formare tessuti nuovi o riparare quelli preesistenti, per cui rappresentano il fondamentale materiale di costruzione per la cellula. Es.di proteine strutturali sono:elastina, collagene, actina e miosina

 

FUNZIONE REGOLATRICE

Le proteine regolano il metabolismo corporeo. Basti pensare agli enzimi e agli ormoni come l’insulina ed il glucagone (ormoni di natura proteica).


FUNZIONE DI DIFESA IMMUNITARIA

Tale funzione è svolta dagli anticorpi, proteine altamente specifiche nella difesa contro le infezioni microbiche.

FUNZIONE ENERGETICA

Gli amminoacidi introdotti possono essere avviati o verso processi metabolici che consentono la produzione di energia e questo viene chiamato gluconeogenesi potendosi trasformare in glucosio che è lo zucchero di pronto intervento oppure possono essere trasformati in altri composti per la sintesi di nuove molecole come enzimi, ormoni, strutture cellulari.
L’energia prodotta da 1 grammo di proteine è pari a 4 Kcal quindi simile a quella prodotta da 1 grammo di zuccheri.
Perchè le proteine contenute negli alimenti sono tanto importanti?
Le proteine degli alimenti sono importanti in quanto forniscono gli aminoacidi necessari per la sintesi delle proteine corporee.

TRASPORTO DI OSSIGENO (emoglobina)

MOVIMENTO (actina, miosina)

 

Le proteine sono macromolecole costituite dall’unione di un grande numero di unità elementari: gli AMINOACIDI.
Sebbene in natura esistano più di 300 amminoacidi, soltanto 20 sono incorporati nelle proteine dei mammiferi poiché sono gli unici codificati dal DNA.

 

La caratteristica strutturale comune a tutte le proteine è di essere dei polimeri lineari di molte molecole di aminoacidi.

 


DIGESTIONE DELLE PROTEINE

Mangiando proteine aumenta la secrezione di acido cloridrico che nello stomaco attiva il pepsinogeno a pepsina. Questo è il motivo per cui talvolta le proteine fanno venire mal di stomaco. I carboidrati al contrario svolgono una funzione tampone contro l’acidità.

PROTEINE E LEGAMI PEPTIDICI

La sequenza degli aminoacidi di una proteina si chiama struttura primaria.
Nelle proteine, gli aminoacidi sono uniti con legami peptidici.


I legami peptidici sono legami tra

• gruppo α- carbossilico (-COOH) di un amminoacido

• gruppo α-amminico (-NH2) dell’amminoacido successivo

• Durante la formazione del legame peptidico viene eliminata una molecola di acqua (reazione di condensazione).

 

PROTEINE FIBROSE

Hanno catene polipeptidiche disposte in lunghi fasci o in foglietti. In genere presentano un unico tipo di struttura secondaria.
Sono INSOLUBILI in ACQUA per la prevalenza di AA idrofobici.
Sono adatte a ruoli strutturali.

• CHERATINA che forma i tessuti protettivi della cute e dei capelli.

• COLLAGENE che forma i tessuti connettivi

• SETE che costituiscono la struttura dei bozzoli dei bachi da seta

Cheratine e collageni hanno strutture ad elica.
Le sete hanno struttura a foglietto.

 

PROTEINE GLOBULARI

Sono solubili in acqua, per il prevalere degli aminoacidi di tipo idrofilo, hanno una forma quasi sferica e assolvono funzioni biologiche.

Enzimi Proteine di deposito
Ormoni Proteine di trasporto

Es.: Mioglobina, proteina globulare che trasporta l’ossigeno nei muscoli;

 

 

Per funzionare una proteina deve assumere una struttura tridimensionale precisa:

 

 

 

CAMBIAMENTI DELLA STRUTTURA DELLE PROTEINE E INVECCHIAMENTO

Quando la struttura tridimensionale viene persa, la proteina va incontro a denaturazione, perdendo la sua attività biologica.
La denaturazione a volte è un processo reversibile, e, allontanando l’agente denaturante, la proteina riprende spontaneamente la sua conformazione tridimensionale che è dettata dalla struttura primaria.

In tutte le cellule, il trascorrere del tempo determina la necessità di RIPARARE alcune PARTI per lo più costituite da proteine. La forma e la struttura di queste parti di ricambio, è decisa dal DNA che invecchiando a sua volta può dare origine a forme difettose o modificate a causa per lo più dei RADICALI LIBERI DELL’OSSIGENO. Questo fenomeno detto STRESS OSSIDATIVO è fra le cause più importanti dell’invecchiamento visibile soprattutto a livello della pelle.
L’utilizzo di una supplementazione di amminoacidi risulta quindi essenziale per la sintesi di:

1) ORMONI peptidici derivati da amminoacidi come per esempio:

2) NEUROTRASMETTITORI, molecole che trasmettono l’impulso nervoso:

  • SEROTONINA derivato del triptofano
  • GABA derivato dalla decarbossilazione del glutammato.

3) NUCLEOTIDI – I MATTONI DEL DNA.

 

Bibliografia:

Kamyar Kalantar-Zadeh, Stefan D. Anker, Tamara B. Horwich, Gregg C. Forarow;
“Trattamenti nutrizionale ed infiammatorio nell’insufficienza cardiaca cronica”;
The American Journal of Cardiology.

Heinrich Taegtmeyer, Mattew E. Harinstein, Mihai Gheorghiade;
“Più che mattoni e calce: commento sul metabolismo proteico ed aminoacidico nel miocardio”;
The American Journal of Cardiology.

Sebastiano B. Solerte, Carmine Gazzaruso, Roberto Bonacasa, Mariangela Rondanelli, Mauro Zamboni, Cristina Basso, Eleonora Locatelli, Nicola Schifino, Andrea Giustina, Marisa Fioravanti;
“La supplementazione nutrizionale con una specifica miscela di aminoacidi incrementa la massa magra dell’organismo e la sensibilità all’insulina in soggetti anziani con sarcopenia”;
The American Journal of Cardiology.

Sebastiano B. Solerte, Marisa Fioravanti, Eleonora Locatelli, Roberto Bonacasa, Mauro Zamboni, Cristina Basso, Anna Mazzoleni, Valeria Mansi, Nikolas Geroutis, Carmine Gazzaruso;
Un miglioramento del controllo della glicemia e della sensibilità all’insulina durante uno studio long-term (60 settimane), randomizzato condotto con una miscela d aminoacidi in pazienti con diabete di tipo 2;
The American Journal of Cardiology.

Quanto dovrei pesare?

Peso forma: qual’è il confine tra normopeso, obesità e bulimia iperfagica?

Da un punto di vista clinico, è l’eccesso di massa grassa il problema. È questa “tara” che deve essere analizzata e distinta dal “peso totale”. Non è il peso, ma l’eccesso di grasso che determina problemi di salute e, di tipo funzionale, come lavarsi, vestirsi o allacciarsi le scarpe.
Quando dal macellaio diciamo: “quel pezzo di carne è troppo grasso”, non ci riferiamo alla dimensione ma, alle parti biancastre che vediamo. Allo stesso modo dovremmo imparare a considerare il peso “normale” di una persona non solo in rapporto ai chili e ai centimetri ma alla quantità di grasso. Cerchiamo di fare chiarezza. Il senso di colpa e di frustrazione che coglie il paziente obeso è in primo luogo legato alla confusione e approssimazione circa la condizione stessa di obesità.

 

Finalmente il PESO IDEALE non è più calcolato solo con i vecchi parametri antropometrici basati sul rapporto matematico tra il peso e l’altezza! Per lo Specialista in Scienza dell’Alimentazione è impensabile non considerare i nuovi concetti di forma, massa grassa e massa magra, acqua intracellulare ed extracellulare.
Due persone dello stesso sesso e con uguale altezza, possono essere una normale e l’altra obesa, pur avendo lo stesso indice di massa corporea (I.M.C.), detto anche body mass index (B.M.I.).
Questo indice si ottiene dividendo il peso calcolato in Kg per il quadrato dell’altezza calcolata in metri.
Per una persona di 180 cm di altezza e 80 kg di peso, il B.M.I. o I.M.C. si otterrà dividendo il peso per l’altezza calcolata in metri (1,8), elevata al quadrato, quindi 1,8 per se stesso che come risultato dà 3,24.
Dividendo il peso per 3,24 si ottiene il B.M.I. o I.M.C. di questa persona

I.M.C.= peso (in Kg): altezza (in metri) moltiplicata per se stessa

Si tratta di uno dei più diffusi calcoli teorici per distinguere i soggetti normopeso da quelli in sovrappeso e obesi.
In pratica se il valore ottenuto è compreso tra 18 e 24,9 è normale, se è compreso tra 25 e 29,9 la persona è in sovrappeso infine se il valore risulta superiore a 30 si tratta di obesità. A causa della sua approssimazione tuttavia può solo essere usato per scopi statistici su gruppi di persone omogenee per sesso ed età, come i militari di leva o gli studenti di una facoltà. Non dovrebbe essere usato per il singolo paziente senza essere accompagnato da più specifiche valutazioni cliniche e antropometriche.

Attori famosi per la loro prestanza fisica come Schwarzenegger, Sylvester Stallone, Vin Diesel, e molti altri, anche quando in piena forma, secondo il calcolo del BMI sarebbero stati considerati obesi.
Al contrario persone che non hanno mai fatto ginnastica, secondo questo calcolo, non dovrebbero dimagrire anche se con pancia prominente e doppio mento, perché il loro peso è compensato da gambe e braccia troppo magre.
Finalmente grazie ad uno strumento di facile impiego, economico e molto preciso,l’impedenziometro, è possibile determinare il grado di obesità del paziente attraverso una rapida valutazione di parametri corporei realmente indicativi dell’adiposità.
I dati rilevati con l’impedenziometro mostrano una forte correlazione con quelli ottenuti dalla plicometria.

 

CIRCONFERENZA ADDOMINALE

La circonferenza addominale è una misura antropometrica innovativa e di facile esecuzione che insieme al peso e all’altezza consente, in maniera approssimativa ma efficace, di distinguere tra chi è grosso e chi invece è grasso. La persona piena di muscoli ha comunque una vita sottile e agile. Quando la “pancia” ha una circonferenza superiore a 110 cm, esprime una tendenza ad avere disturbi funzionali, dalla difficoltà a lavarsi o vestirsi, sino a patologie cardiovascolari come ipertensione e infarto del miocardio. Molte donne dal peso assolutamente normale possono presentare una circonferenza superiore a 88 cm e così, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sancito, essere a rischio di contrarre negli anni, patologie cardiovascolari.

 

Bibliografia:

Kahn HS, Imperatore G, Cheng YJ.
“A population-based comparison of BMI percentiles and waist-to-height ratio for identifying cardiovascular risk in youth”.
J Pediatr.2005;146 :482– 488

Ashwell M, Cole TJ, Dixon AK.
“Ratio of waist circumference to height is strong predictor of intra-abdominal fat”.
BMJ.1996;313 :559– 560

Hsieh SD, Yoshinaga H, Muto T.
“Waist-to-height ratio, a simple and practical index for assessing central fat distribution and metabolic risk in Japanese men and women”.
Int J Obes Relat Metab Disord.2003;27 :610– 616

 

La storia di Valentina

Voglio ricordare a questo proposito, Valentina una bella signora di trentasei anni che, alta un metro e sessantotto centimetri pur pesando appena sessanta chili era ansiosa di perderne almeno otto. Graziosa, stretta nel tailleur grigio con un viso dai lineamenti regolari, incorniciato da capelli corti e curati, appena la vidi mi inondò di un fiume di parole. Era una giornalista di successo, nella scheda anamnestica non denunciava patologie di rilievo tuttavia da un punto di vista medico non aveva un aspetto sano, appariva stanca, distratta, come se pensasse ad altro. Preoccupata, di non essere creduta dell’assoluta necessità di tornare al suo peso di sei anni prima, improvvisamente scoppiò in lacrime. Profondamente a disagio per quei chili che solo lei vedeva di troppo, e che nessuno era disposto a considerare patologici, disse di aver più volte tentato di dimagrire senza alcun risultato.
Interrogando la paziente, l’aumento di peso non era nemmeno relazionabile col suo vecchio divorzio; da nove anni ormai viveva felice con il nuovo compagno e aveva anche coronato il suo desiderio di avere un figlio, che al momento della visita aveva tre anni. Cercai di rassicurarla dicendole che in pochi minuti avremmo avuto la certezza del peso che per entrambi sarebbe stato considerato il goal terapeutico.
Il risultato impedenziometrico confermò una massa magra esigua, inferiore ai quaranta chili e così stando le cose il peso ideale era appunto di appena cinquanta chili.
Finalmente convinta di poter tornare ad essere quella che era sempre stata e che, non era per una sua insana fissazione che ricercava un peso corporeo minore di quello indicato dalle riviste e da medici che avevano determinato i suoi chili, soltanto in base ad un semplice calcolo matematico, si affidò un po’ rincuorata, alle cure e agli accertamenti clinici che le prescrissi.
Nel leggere la serie d’esami, mi disse che nel questionario anamnestico aveva specificato di aver fatto da poco l’analisi del profilo tiroideo e che io stesso lo avevo fatto fotocopiare e allegare nella sua cartella clinica.
Spiegai che l’indagine, basata su un sospetto diagnostico preciso, riguardava gli anticorpi anti-tiroide e dovette ammettere che nonostante avesse fatto svariate volte prelievi del sangue per determinare la funzionalità tiroidea non aveva mai fatto un esame di questo tipo.
Dopo pochi giorni mi telefonò eccitata dal risultato delle analisi, e con un misto di contentezza e preoccupazione mi lesse i valori degli anticorpi anti-tireoglobulinici e anti- microsomiali che invece di essere meno di 15 erano 3500 i primi e 5800 i secondi.
Si trattava di una tiroidite autoimmune.
Le spiegai che questa malattia concorre, certo insieme a svariate concause, anche di tipo comportamentale, alla riduzione della massa magra, e che le funzioni tiroidee essendo importantissime per il controllo del comportamento alimentare, contribuivano all’aumento di peso. Non era lei che sbagliava a non fare attività fisica, ma era proprio il suo stato clinico che induceva la facile stancabilità e il senso di svogliatezza per tutto ciò che riguardava lo sport. Grazie alla Dieta ABC e alla terapia specifica e personalizzata è stato possibile curare la paziente che oggi indossa gli abiti di quando pesava otto chili in meno pur avendone persi solo sei e ha ripreso i tornei amatoriali di tennis che per anni si era limitata a vedere dalle tribune del circolo.