Cosa succede quando si mangiano zuccheri

Quando mangiamo un piatto di riso o di pasta, o una pizza, oppure quando mangiamo una tazza di latte con dei cereali o con delle fette biscottate, diamo origine ad una sequenza di eventi metabolici la cui conoscenza è alla base del controllo del comportamento alimentare. “Prima digestio fit in ore”, la prima digestione si fa in bocca, infatti la saliva contiene l’AMILASI SALIVARE, un enzima che divide la lunga molecola dell’amido in polisaccaridi di minori dimensioni.
Nello stomaco i cibi vegetali non vengono digeriti.

Quando si soffre di qualche gastropatia questi cibi, non stimolando la digestione gastrica danno come un senso di sollievo alla tensione addominale, per questo motivo si mangiano gallette, cracker, pane, o del semolino, per mitigare il senso di buco allo stomaco.
Subito dopo lo stomaco c’è l’intestino tenue, dove agisce l’AMILASI PANCREATICA, che riduce le catene di polisaccaridi in MALTOSIO.
• NEL TENUE L’AMILASI PANCREATICA SCINDE L’AMIDO IN MALTOSIO

A questo punto dobbiamo fare una considerazione molto interessante, i cibi vegetali o carboidrati che dir si voglia, in definitiva sono zuccheri che assumiamo con il cibo, e il nostro corpo essendo selezionato biologicamente per la conservazione delle riserve energetiche, fa molto meno fatica a digerire nuovi alimenti, che utilizzare i depositi energetici accumulati.
In pratica è molto più facile ingrassare che dimagrire. Per la digestione degli zuccheri che introduciamo con i cibi vegetali, infatti, è necessaria una semplice idrolisi del legame che unisce due molecole di glucosio messe in sequenza nella catena dell’amido, invece quando si deve demolire il GLICOGENO depositato nel fegato o nel muscolo, è necessario ricorrere alla laboriosa scissione FOSFOROLITICA.
Sempre nell’intestino tenue, il MALTOSIO è idrolizzato in due molecole di GLUCOSIO dall’enzima MALTASI, mentre il LATTOSIO è scisso in GLUCOSIO e GALATTOSIO dalla LATTASI, quest’enzima pertanto è indispensabile per la digestione del latte. Le persone che presentano un’insufficienza di lattasi, hanno crampi intestinali e diarrea se introducono questo alimento.
Altra disaccaridasi è la SACCARASI che scinde il SACCAROSIO in GLUCOSIO e FRUTTOSIO.
Le molecole di GLUCOSIO, FRUTTOSIO e GALATTOSIO, sono assorbite dalle cellule epiteliali che rivestono i villi e i microvilli intestinali, capaci di aumentare di migliaia di volte la superficie assorbitiva del tenue. Solo due strati di cellule epiteliali separano i nutrienti presenti nel lume intestinale dal sangue dei capillari.

Per di più il FRUTTOSIO passa attraverso la membrana plasmatica per diffusione facilitata, quindi niente come la frutta è in grado di farci aumentare di grasso, quando si ha difficoltà dimagrire.

Il GLUCOSIO, invece, si sposta per trasporto attivo per mezzo di sistemi pompa simili a quelli necessari per le vitamine e gli aminoacidi. Una volta nel sangue il glucosio è trasportato in tutte le parti del corpo dove va incontro a quattro destini principali:
Il glucosio può essere catabolizzato a CO2 e H2O attraverso la respirazione aerobica. Questo è sicuramente il destino più comune del glucosio del sangue, perché la maggior parte dei tessuti funziona grazie all’ossigeno.


Il cervello in particolare, è un organo aerobico, pur pesando solo il 2-3-% del nostro peso corporeo, il tessuto cerebrale consuma oltre il 20% dell’ossigeno che respiriamo. Di fatto ha bisogno di 120g di glucosio al giorno che sono il 15% del totale delle necessità energetiche organiche. Anche il cuore ha esigenze simili, benché a differenza del cervello possa utilizzare molte sostanze come fonti di energia, e alcune di queste siano addirittura la spazzatura di altri metabolismi, come l’acido lattico. Durante lo sforzo intenso, la richiesta di ATP delle cellule supera, temporaneamente, la capacità del sistema circolatorio di rifornirle di ossigeno, quindi l’ossidazione del glucosio avviene per via anaerobica.
Il glucosio per via anaerobica, cioè senza ossigeno, perché lo sforzo supera la quantità di ossigeno respirata, viene trasformato in lattato.
Il lattato prodotto dai muscoli dallo sforzo fisico è utilizzato dal cuore che lo usa come carburante, e dal fegato che lo utilizza per ottenere altro glucosio attraverso la via gluconeogenetica.
Il glucosio può essere utilizzato per formare polisaccaridi di deposito come il glicogeno epatico e muscolare, questo in particolare è utilizzato per fornire glucosio nei periodi di intenso sforzo fisico, quando cioè lo sforzo del muscolo è così potente e breve da non consentire al sistema circolatorio di portare sufficiente glucosio per la contrazione muscolare. Più è grosso il muscolo scheletrico e maggiore sarà la sua riserva energetica, ciò spiega i muscoli ipertrofici dei centometristi, o gli imponenti quadricipiti femorali dei giocatori di calcio. Il glicogeno epatico invece serve all’atleta che svolge uno sforzo più prolungato e per questo motivo i ciclisti per colazione si riempiono di pasta di grano, con l’intento di fare un pieno di energie da impiegare nelle ore successive.

 

Il glucosio può essere trasformato in acetil-CoA , attraverso l’ossidazione del piruvato, e dare così origine alla sintesi del grasso. Tutte le volte che si mangia più cibo di quanto sia necessario per produrre energia, e per assolvere alle necessità della biosintesi di altre molecole, l’eccesso di glucosio viene ossidato ad acetil-CoA e indirizzato verso la sintesi dei trigliceridi, con ovvio aumento dei depositi di grasso.
Dobbiamo ricordare che nel corso dell’evoluzione i periodi di carestia  hanno selezionato linee genetiche capaci di conservare al meglio le riserve energetiche.
La Co2 e l’H2O, che rappresentano i prodotti finali dell’ossidazione del glucosio sono eliminati con la respirazione e l’escrezione renale urinaria.
I prodotti intermedi, PIRUVATO e LATTATO, entrano rispettivamente nel metabolismo del muscolo scheletrico il primo, e nel metabolismo del fegato e del cuore, il secondo. In pratica a livello muscolare, la contrazione intensa superando le capacità di trasporto dell’ossigeno, induce la necessità di trasformare il PIRUVATO in LATTATO. L’acido lattico che si forma rappresenta un vero e proprio veleno muscolare, responsabile di crampi e dolori che certo tutti abbiamo sperimentato dopo sforzi intensi o inusuali, tuttavia proprio questo veleno rappresenta un’importante ghiottoneria per il cuore, che usa proprio questo prodotto per funzionare al meglio, producendo come scarto il piruvato, ovvero la preziosa sostanza indispensabile al metabolismo del muscolo. Accade in qualche misura un evento eccezionale per la meccanica, sarebbe come se i fumi di scarico del tubo di scappamento di un’automobile, fossero impiegati dal motore come fonte energetica e che la combustione di questi fumi, producesse benzina a 98 ottani e così via.
Riassumendo quindi il muscolo per contrarsi usa come benzina, il PIRUVATO e produce come scarto il LATTATO, al contrario il cuore usa come benzina il LATTATO, e ha come risultato della combustione il PIRUVATO.

Obesità e insulinoresistenza

Si definisce insulino-resistenza o bassa sensibilità insulinica la condizione clinica o sperimentale in cui l’insulina esercita un effetto biologico inferiore a quello atteso.

 

L’insulinoresistenza può coinvolgere più organi e tessuti, fegato, muscolo scheletrico e tessuto adiposo, oppure anche solo un unico tipo cellulare, ad esempio la cellula muscolare scheletrica.
Nel singolo individuo il fenomeno può inoltre estendersi a numerosi processi biologici, dalla regolazione del metabolismo glucidico, lipidico e proteico, sino ad essere specifico per singole azioni ormonali, come quelle coinvolte nella sintesi di glicogeno. Quando si discute di insulinoresistenza in termini generici si allude al deficitario effetto biologico dell’insulina nel regolare il metabolismo glucidico, in pratica si ha un effetto ipoglicemizzante minore di quello atteso, con conseguente aumento della glicemia.
La sensibilità all’insulina di qualsivoglia processo biologico è una variabile continua e finora nell’uomo non sono stati definiti valori soglia oltre i quali si individua l’insulinoresistenza.
Pertanto si fa riferimento con l’espressione “bassa sensibilità insulinica”, ai più bassi valori fra quelli osservati nel campione in esame.

EZIOPATOGENESI DELLA BASSA SENSIBILITA’ INSULINICA

La bassa insulino-sensibilità ha una base genetica, ma è influenzata anche da fattori acquisiti e/o ambientali quali:

  • eccesso ponderale;
  • localizzazione prevalentemente centrale e soprattutto viscerale dell’adipe con rapporto positivo tra circonferenza della vita e delle cosce (W/H ratio >1);
  • bilancio energetico cronicamente positivo e scarsa attività fisica;
  • fumo di sigaretta.

Alcuni farmaci, sono in grado di ridurre la sensibilità dell’organismo all’insulinica, i più frequentemente chiamati in causa sono i glucocorticoidi, (il cortisone) i diuretici tiazidici (tenoretic, modiuretic, igroton) e i beta-bloccanti, (tenormin, seles beta, inderal).
Frequente in questi Pazienti è il riscontro di:

  • Ipertensione
  • Elevato tasso di trigliceridi
  • Digestione lunga e difficile accompagnata da sonnolenza dopo mangiato
  • Steatosi epatica e calcoli alla cistifellea

Molti di questi fattori possono essere soggetti ad un efficace intervento terapeutico.

Cluster di alterazioni che possono essere presenti nella sindrome da insulino-resistenza. In alto in grassetto sono riportate le alterazioni tradizionalmente ritenute più importanti, in basso quelle incluse più recentemente o meno frequenti.

  • Insulino-resistenza ed iperinsulinemia
  • Intolleranza al glucosio
  • Ipertensione arteriosa
  • Ipertrigliceridemia
  • Riduzione dei livelli circolanti di colesterolo HDL
  • Incremento dei livelli circolanti di LDL piccole e dense
  • Microalbuminuria
  • Iperuricemia
  • Aumento della viscosità ematica
  • Aumento del PAI-1
  • Riduzione dell’attivatore tissutale del plasminogeno (tPA)
  • Iperfibrinogenemia

Una bassa sensibilità insulinica è rilevabile molto spesso, nel soggetto con diabete tipo 2, quello alimentare, o nei pazienti con ridotta tolleranza glucidica, soprattutto in presenza di sovrappeso o franca obesità e/o di altre alterazioni metaboliche quali dislipidemia e ipertensione arteriosa.

CRITERI DIAGNOSTICI DELLA SINDROME METABOLICA
(secondo il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 1999).


La bassa sensibilità insulinica è un elemento patogenetico importante nello sviluppo del diabete tipo 2, ma essa non sembra essere sufficiente affinché il diabete si manifesti.

Raccomandazioni per lo Screening del Diabete delle Persone Asintomatiche

Tempi del primo esame della curva insulinemica e glicemica con test da carico di glucosio e ripetizioni successive:

– Esame a 45 anni di età con ripetizione ogni 3 anni: paziente di età maggiore o uguale a 45 anni

– Esame prima dei 45 anni di età con ripetizione più frequente dei 3 anni se il paziente ha uno o più dei seguenti fattori di rischio:

  • Obesità: >=120% del peso corporeo desiderabile o BMI >=27 kg per m2
  • Parenti di primo grado con diabete mellito
  • Fa parte di un gruppo etnico ad alto rischio (pelle nera, ispanico, pellerossa, asiatico)
  • Storia di diabete mellito gestazionale o parto di un bambino di peso superiore a 4.032 g (9 lb) Ipertensione (>=140/90 mm Hg)
  • Colesterolo HDL <35 mg per dL (0.90 mmol per L) e/o trigliceridi >=250 mg per dL (2.83 mmol per L)
  • Storia di IGT o IFG negli esami precedenti

BMI=Indice di Massa Corporea; HDL=Lipoproteine ad alta densità; IGT=alterata tolleranza del glucosio; IFG=alterata glicemia a digiuno.
Adattata dalla relazione del Comitato degli Esperti sulla Diagnosi e Classificazione del Diabete Mellito. Diabetes Care 1997;20:1183-97.

 

La malattia, infatti, non sembra comparire a meno che non sia presente una concomitante incapacità della beta-cellula pancreatica a compensare il rido tto effe tto biologico dell’insulina.
Al momento mancano indicazioni chiare sui criteri per definire la pre senza di una bassa sensibilità insulinica nel singolo individuo.
Sul piano clinico la presenza di una bassa se nsibilità insulinica può essere presunta sulla base della presenza dei seguenti cara tteri fenotipici, soprattutto se fra loro associati:

  • BMI >27
  • waist/hip ratio >1 nei maschi e >0.9 nelle femmine
  • GT o glicemia a digiuno >110 mg/dl 
  • HDL <40 mg/dl (femmine) o <35 mg/dl (maschi)
  • TG >250 mg/dl
  • Uricemia >7 mg/dl (maschi) o 6.5 mg/dl (femmine)
  • Ipertensione arteriosa essenziale (sistolica >14 0 e/o diastolica >90 mmHg )

 

BIBLIOGRAFIA:

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Assessment of insulin sensitivity in older adults using the hyperglycemic clamp technique.

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Department of Medicine, University of British Columbia, Vancouver, Canada.

Infusionsther Klin Ernahr. 1984 Feb;11(1):4-10.
[The euglycemic insulin and hyperglycemic clamp technic. Methods for the determination of insulin sensitivity of tissues and glucose sensitivity of the B cell. A review] Bratusch-Marrain PR.

Krentz AJ.
Fortnightly review: insulin resistance. Br Med J 1996;313:1385-9.

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Consensus development conference on insulin resistance. 5-6 November 1997. Diabetes Care 1998;21:310-4.

Modan M, Halin H, Almog S, et al.
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Insulin resistance: a multifaceted syndrome responsible for NIDDM, obesity, hypertension, dyslipidemia, and atherosclerotic cardiovascular disease. Diabetes Care 1992;14: 173-194.

Avogaro P, Crepaldi G.
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Kaplan NM.
The deadly quartet: upper-body adiposity, glucose intolerance, hypertriglyceridemia and hypertension. Arch Intern Med 1989;149:1514-20.

Piacere Emozione Motivazione

Come è possibile che le emozioni date dal drogarsi con il cibo remunerativo siano tali da superare la forte motivazione rappresentata dal voler dimagrire? Com’è spiegabile che la stessa persona capace di un comportamento assolutamente risoluto nel lavoro, manifesti una motivazione quasi nulla per la propria salute?
Benché si possa discutere delle emozioni ed essere abbastanza sicuri di intenderci quando descriviamo la paura, la felicità o l’amore, in realtà una chiara definizione, scientifica di queste condizioni psicologiche non è ancora possibile.
Perciò ci baseremo sulle esperienze comuni relative a quello che tutti noi proviamo, quando ci esprimiamo usando termini quali: sono molto arrabbiato, o molto triste o molto felice.
L’altro stato psicologico di difficile interpretazione è la motivazione.
Emozione e motivazione sono strettamente correlate. Gli psicologi generalmente definiscono la motivazione come lo stato che viene dedotto sulla base di un comportamento che punta dritto allo scopo, se un animale si attiva per ottenere dell’acqua, possiamo dedurre che è motivato dalla sete. Se l’animale fa di tutto pur di riuscire a dissetarsi, superando anche la tentazione per un cibo particolarmente gustoso o quella per il partner sessuale durante il periodo di estro, dobbiamo dedurre che la sua motivazione, in questo caso verso l’acqua, è forte.
Emozione e motivazione pervadono completamente la nostra vita. L’emozione conferisce valore e interesse alle azioni immediate e ci motiva verso quelle future.
Analizzare in quale parte del cervello si generano questi sentimenti e come poi si traducono in eventi comportamentali, affascina lo studioso e getta nell’angoscia il filosofo; ma è di conforto per il malato che in questo modo vede le sue azioni trasformate da malvagie in malate e pertanto curabili.
Il piacere del cibo, come una ricca lasagna o un dolce delizioso, sicuramente rappresenta un’emozione forte che tuttavia può essere superata da una motivazione ancora più forte.

 

IL SISTEMA LIMBICO

I lavori di ricerca, sulla fisiologia e anatomia delle aree cerebrali da dove traggono origine le manifestazioni emotive hanno realizzato progressi notevoli da quando Paul McLean, intorno alla metà del novecento pubblicò i primi studi relativi alle aree anatomiche cerebrali responsabili della regolazione degli affetti. Si trattò di una scoperta sconcertante. In pratica il sentimento venne ridimensionato alla pari di funzioni da tempo affidate ad aree cerebrali specifiche come il linguaggio o il movimento. Egli raggruppò le specifiche aree cerebrali dell’emozione, sotto il concetto unitario di sistema limbico, e da allora i sistemi nervosi di questo sistema sono fra i più studiati e i più affascinanti.
(McLean P., Some psychiatrie implications of physiological studies on frontotemporal portion of limbic system (Visceral brain). Electroencephalography and Clinical Neurophysiology, 4: 407-418, 1952).

Tutti noi abbiamo sperimentato come le emozioni possano causare alterazioni della frequenza cardiaca, della respirazione, delle contrazioni gastriche o intestinali, della secrezione salivare o della sudorazione, l’importanza di questa reazione emotiva è resa evidente dai volumi di vendita relativi ai deodoranti cosmetici. Proprio quelli che hanno lo scopo di coprire i cattivi odori. Ora sappiamo che tali variazioni appaiono controllate, o per meglio dire generate, dal cervello.
Quando ero studente per sapere che voto avrei preso quel giorno, era sufficiente che sentissi l’odore acre della fatica e dell’emozione mescolata alla paura che aleggiava nella mia stanza studio. Ancora oggi so, che più è acre quell’odore, più il mio intervento al congresso sarà brillante e apprezzato.
È sicuramente il cervello a determinare quella reazione neurovegetativa che non mi accade mai di dover sopportare se non per emozioni forti e molto importanti. Questo come potete ben comprendere era il più grave problema al mio primo appuntamento con la più bella ragazza del mondo che sarebbe divenuta poi mia moglie. Come faccia il cervello a produrre tali cambiamenti è ancora materia di controversie. Molte delle strutture cerebrali deputate al controllo del corpo, sono responsabili anche dei sentimenti, ciò non deve sorprendere. È l’incontro nel sistema limbico tra gli impulsi sensoriali, visivi, tattili, olfattivi, uditivi e gustativi, con il flusso dei sentimenti, che consente di ottenere la giusta colorazione emotiva.
Le principali strutture cerebrali deputate al controllo delle emozioni, pur con le ovvie diversità sono simili in tutti i mammiferi. Gli stimoli esterni una volta percepiti dagli organi di senso, vengono sentiti dal sistema limbico, e concettualizzati dalla corteccia cerebrale.
Il sistema limbico comprende numerose strutture tra loro interconnesse: talamo anteriore, ipotalamo, amigdala, ippocampo, giro cingolare, setto, fornice, formazione reticolare, locus coeruleus, e substantia nigra.

LA CORTECCIA CEREBRALE

Quando l’area limbica, elabora sensazioni di fame, sete, freddo, caldo, paura, aggressività, desiderio sessuale o dolore, comunica alla corteccia cerebrale la necessità imperativa e improrogabile di trovare il modo di risolvere questo problema. La corteccia cerebrale frontale è in grado di trasformare la percezione istintiva in una reazione cosciente e quindi in ultima analisi è l’area che in qualche modo razionalizza l’emozione.

In pratica se dall’area limbica parte il bisogno di qualcosa di buono, è la corteccia che deve trovare il modo di soddisfare questa necessità. E se inducendoci ad aprire il frigo e prendere il pezzo di pizza freddo avanzato dalla sera prima, riesce a risolvere il problema, in modo automatico, a seguito della stessa necessità si avrà lo stesso tipo di comportamento. Tutti abbiamo sperimentato quanto sia più breve un tragitto ripetuto o sia più facile un lavoro da eseguire la seconda volta. Queste autostrade del pensiero sono alla base del condizionamento operante e una volta che si instaurano diventano la base delle nostre presunte preferenze, gusti, abitudini e bisogni. Chi si fuma la ventesima sigaretta della giornata o chi si mangia tre o quattro merendine o pasti sostitutivi tutti i pomeriggi agisce secondo meccanismi di risposta automatica facilitata che hanno sempre meno bisogno di essere pensati e ponderati.

 

SISTEMA NERVOSO AUTONOMO

Il sistema nervoso autonomo, quello che non si riesce a controllare con la stessa facilità con cui invece riusciamo a muovere le dita delle mani, è diviso in due settori distinti:

  • SIMPATICO – responsabile della mobilitazione delle riserve energetiche dell’organismo e capace di determinare la risposta di “aggressione e fuga”;
  • PARASIMPATICO – responsabile della conservazione delle riserve energetiche dell’organismo, esprimendo in qualche modo: “tranquillità e pace”.


Per comprendere meglio questi due sistemi nervosi, immaginate di aver appena terminato un grosso pasto. Siete con la pancia piena serenamente sprofondati in un divano tipo quello della famiglia Simpson, quella dei cartoni animati statunitensi disegnati dalla matita di Matt Groening. In questo momento il sistema parasimpatico prende il sopravvento. Si determina il rallentamento del battito cardiaco, e della respirazione, il sangue in gran parte, piano, piano lascia il distretto muscolare e affluisce ai visceri per la digestione, e un senso tranquillità, pace e appagamento stanno invadendo il corpo. Insomma, sta per subentrare l’abbiocco pomeridiano davanti alla televisione. Se in quel momento un terrorista irrompesse improvvisamente nella vostra sala da pranzo, la componente nervosa simpatica prenderebbe il sopravvento.
I vostri processi digestivi rallenterebbero, il battito cardiaco aumenterebbe, la circolazione sanguigna sarebbe deviata, dalla cute e dagli organi digestivi per aumentare il flusso di sangue ai muscoli. Immediatamente sbianchereste in volto e le vostre mani sarebbero gelate, i polmoni aumenterebbero la ventilazione, le pupille si dilaterebbero, le ghiandole sudoripare si attiverebbero preparandosi a raffreddare il corpo durante il previsto esercizio fisico. Tutto questo scatenarsi di eventi è provocato dall’attivazione del sistema nervoso simpatico, che stimola la ghiandola surrenale a secernere adrenalina e gli altri gangli simpatici a produrre noradrenalina. Tutta la macchina uomo, in una frazione di secondo è pronta alla fuga o all’aggressione. 

Questa foto che ritrae uno dei sopravvissuti alla strage che gli integralisti islamici hanno fatto in Ossezia è tratta da “Il Giornale”, e certo purtroppo non è più agghiacciante di quelle che ho visto su altri quotidiani; ma ciò che mi ha colpito è stato l’articolo di Antonio Socci che iniziava così:< Guardateli, per favore.
Vorrei chiedere ai lettori una cosa insolita, per un giornale che di norma è fatto di articoli da leggere. 

Una sommessa preghiera, un appello: questa mattina guardate. Guardateli. Sono padri e figli e madri e figlie di Beslan in Ossezia. Guardateli a lungo…..!>
Adrenalina a mille, si dice, forse qui non basta.

Aggressività, paura, fuga, difesa, vendetta, quanti sentimenti si leggono su quei due volti, della foto Reuters. Che pupille dilatate, che mani fredde dovevano avere.
Tutte le emozioni dalla rabbia all’eccitazione sessuale sono trasportate da particolari messaggeri chimici detti neurotrasmettitori, il sistema della noradrenalina svolge un ruolo decisivo nella regolazione delle risposte comportamentali, quello della serotonina nella modulazione degli stati di depressione, quello della dopamina degli stati di ansia e quello delle endorfine degli stati emotivi di gioia e di piacere (Ciompi 1993; Esposito & Liguori 1996; Oliverio & Castellano 1996).

BIBLIOGRAFIA:

CIOMPI L., L’ipotesi della logica affettiva. Le Scienze Quaderni, 82: 58-68, 1995, già pubblica in Spektrum der Wissenschaft, febbraio 1993;
ESPOSITO E. & LIGUORI P., Le basi neurobiologiche della depressione. Le Scienze, 56, nr.330: 40-49, 1996;
OLIVERIO A. & CASTELLANO C., La modulazione della memoria. Le Scienze, 56, nr. 233: 62-70, 1996).

 

SISTEMA NEURONALE NORADRENERGICO

Il sistema noradrenergico, utilizza come NEUROTRASMETTITORE specifico, la noradrenalina abbreviata in NA, sintetizzandola dal suo precursore, l’aminoacido tirosina, che guarda caso è anche il precursore della dopamina e degli ormoni tiroidei, T4 e T3, rispettivamente tiroxina e triiodotironina. La tirosina, superata la barriera emato-encefalica, giunge all’interno del neurone cerebrale, dove subisce tre cambiamenti.
1. Ad opera della tirosina-idrossilasi si ha la trasformazione della TIROSINA in DOPA.
2. Ad opera della dopa-decarbossilasi, si ha la trasformazione della DOPA in DOPAMINA
3. Ad opera della dopamina beta-idrossilasi si ha la trasformazione della DOPAMINA in NORADRENALINA
La distruzione della noradrenalina alla fine della sua azione avviene ad opera della MONOAMINA-OSSIDASI, abbreviata in MAO molti farmaci utili nella cura della depressione maggiore svolgono la loro funzione terapeutica inattivando questo enzima. In questo modo la noradrenalina distrutta meno velocemente consente emozioni e reazioni più intense e positive. Perché possa avvenire la trasmissione del segnale occorre che questo sia raccolto dal suo particolare recettore, che è dotato di un meccanismo di auto depotenziamento.
In pratica se nella sinapsi c’è troppa noradrenalina, questo recettore è in grado di inibire il rilascio di altro neurotrasmettitore diminuendo l’eccitazione. Quando un farmaco come l’antidepressivo mianserina antagonizza questa capacità del neurone presinaptico di depotenziare il segnale si aumenta il rilascio di NA, aumentando così l’eccitazione nervosa.

 

IL SISTEMA NEURONALE DOPAMINERGICO

È sicuramente il sistema neuronale che negli ultimi venti anni, ha ricevuto più attenzioni da parte dei neurofisiologi di tutto il mondo.
(Le Moal M. Mesocorticolimbic dopaminergic neurons. Functional and regulatory roles. In: Bloom FE, Kupfer DJ-eds-. Psychopharmacology:the fourth generation of progress. New York, Raven Press, 1995:283-294)

DOPAMINA

I neuroni del sistema dopaminergico originano dal mesencefalo. L’attività nervosa trasportata da questo sistema è la più coinvolta nei disturbi, affettivi, psicotici, e soprattutto nella fisiopatologia delle sostanze di abuso, dalle droghe al cibo.
È attraverso la stimolazione dopaminergica che la nicotina rafforza i tempi di attenzione, di concentrazione e di apprendimento.
(Bressa G.M., Quell’insostenibile pesantezza del fumare. Il Messaggero. La nostra salute. pag.7 del 10 ottobre 1993).
Così, è proprio attraverso la dopamina che la cocaina aumenta lo stato di allerta e di vigilanza, con diminuzione il senso di fatica, aumento della forza fisica e della sicurezza psicologica e comportamentale con riduzione del bisogno di dormire e di mangiare.
Le popolazioni che vivono in aree economicamente depresse del Sud America, dimenticano la fame e la fatica del lavoro quotidiano masticando un bolo di foglie di coca. La cocaina agisce infatti a livello delle sinapsi contenenti dopamina, bloccandone la distruzione.
(Pulvirenti L. & Koob G.F., Neurobiologia della dipendenza da cocaina. Le Scienze, 54, nr. 321: 18-25, 1995).
In questo modo la cocaina non solo agisce stimolando direttamente la cellula nervosa ma prolunga e potenzia l’attività e l’azione della dopamina. La produzione di DOPAMINA segue le vie che abbiamo già evidenziato per la sintesi della NORADRENALINA, fermandosi al secondo passaggio e manca invece, l’enzima dopamina-beta-idrossilasi che trasformerebbe la dopamina in noradrenalina.

 

IL SISTEMA SEROTONINERGICO

Il sistema della Serotonina oltre al comportamento motorio e alimentare regola umore e temperatura corporea. Da un punto di vista anatomico origina dai nuclei del RAFE, e si estende a vari livelli del tronco encefalico. I nuclei, del Rafe inviano segnali alla CORTECCIA CEREBRALE. all’IPPOCAMPO, all’IPOTALAMO, e al BULBO OLFATTIVO all’AMIGDALA.
I neuroni serotoninergici che innervano l’ipotalamo esercitano un’azione stimolante sul rilascio di vari ormoni quali la PROLATTINA, fondamentale nella funzione dell’allattamento, l’ORMONE DELLA CRESCITA, preposto allo sviluppo del bambino o all’accrescimento muscolare dell’adulto, chiamato in sigla GH, e per finire l’ormone adrenocorticotropo abbreviato in ACTH, responsabile della secrezione del CORTISOLO da parte della ghiandola surrenale.
Mentre i neurotrasmettitori dell’ira e delle reazioni di aggressione e fuga, che sono la noradrenalina e la dopamina, originano entrambe dalla tirosina. L’aminoacido dal quale prende origine la serotonina, é il triptofano.
Si tratta di un aminoacido essenziale, che il nostro corpo non è in grado di sintetizzare da altri precursori, pertanto deve essere introdotto mediante la digestione di alimenti che lo contengono o assunto come tale attraverso un integratore specifico. Due enzimi di sintesi convertono il triptofano in serotonina, detta anche cinque -idrossi- triptamina, che può essere abbreviata in 5HT.

Come nel caso della noradrenalina e della dopamina, anche la serotonina viene catabolizzata dalla MAO e trasformata in un metabolita inattivo. La 5HT sembra implicata, soprattutto tramite la formazione reticolare, nella regolazione degli stati di veglia e sonno, modulando, quindi, indirettamente anche i processi mentali che elaborano i nostri sogni.
Il sistema serotoninergico è inoltre coinvolto nel controllo della temperatura corporea quindi del metabolismo e del dispendio calorico e della motilità dell’intestino.
L’azione metabolica della serotonina è regolata da recettori 5-HT accoppiati ad una proteina G che coinvolgono nella loro azione un secondo messaggero come l’adenosin-monofosfato-ciclico, oppure il diacil-glicerolo o l’inositol-trifosfato.
Il SERT (serotonine transporter) è una proteina di membrana responsabile del reuptake (ricaptazione) della serotonina nel S.N.C. Il blocco del SERT determina un aumento della permanenza della serotonina nello spazio sinaptico e quindi un prolungamento e potenziamento della sua azione. Il SERT funziona pertanto da depotenziatore della serotonina. Riducendo l’azione di questo enzima, mediante farmaci specifici, definiti appunto inibitori del reuptake serotoninico, aumenta l’efficacia rasserenante della serotonina stessa
Negli ultimi anni si sono compiuti notevoli sforzi nella ricerca di antagonisti dei recettori della serotonina e di inibitori reversibili della ricaptazione della serotonina (serotonine selective reuptake inhibitor ligands SSRI) a causa delle molteplici utilizzazioni terapeutiche di tali composti. La paroxetina e la fluoxetina sono inibitori del SERT correntemente usati per il trattamento della depressione e del controllo della fame compulsiva, quando mangiamo non per fame ma per abitudini che la corteccia riconosce attraverso i meccanismi automatici di cui abbiamo parlato all’inizio del capitolo, cioè quando dalla zona limbica viene elaborato un preciso stato d’animo: noia, malinconia, dolore, vuoto, rabbia o euforia.
L’Acido 5-idrossindoloacetico (5-HIAA) urinario rappresenta il principale metabolita della serotonina. Prove sperimentali dimostrano in alcuni stati depressivi, una riduzione dei livelli di serotonina ma la semplice somministrazione della molecola non cura la depressione.

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Ormoni, cibo e diabete

 

L’assunzione del cibo provoca la secrezione di numerosi ormoni intestinali che hanno effetti su:

  • SECREZIONE GASTRICA
  • MOTILITÀ INTESTINALE 
  • SECREZIONE PANCREATICA
  • ASSORBIMENTO DEI NURIENTI
  • CONTRAZIONE DELLA COLECISTI

Alcuni ormoni hanno poi lo specifico compito di stimolare la secrezione di insulina e per questo sono chiamate INCRETINE:
1. GIP Glucose Insulinotropic Polipeptide, secreto dalle cellule K del DUODENO e del DIGIUNO.


2. GLP1 GlucagoneLikePeptide1 secreta dalle cellule L del tenue (a livello del digiuno) e del colon.

Il PROGLUCAGONE contiene due sequenze glucagon-like, denominate peptidi glucagon-like 1 e 2 (rispettivamente GLP-1 e GLP2).
Quindi, nel pancreas i due peptidi glucagon-like sono contenuti in un’unica grande molecola, the major proglucagon fragment (MPGF), secreto in parallelo con il glucagone.
Nella mucosa intestinale, invece, i due peptidi glucagon-like sono formati e secreti separatamente.
Holst JJ. Physiol Rev 2007; 87: 1409–1439

GLP 1: Glucagon Like Peptide 1, secreto dalle cellule L del DIGIUNO e del COLON agisce in vari modi:

• Stimola la sintesi e la secrezione di insulina da parte delle cellule pancreatiche
• Inibisce la secrezione di glucagone.
• Rallenta lo svuotamento gastrico.
• Stimola la nascita di nuove cellule β e ne previene la morte, riducendo la loro apoptosi.
• Ha un effetto di riduzione dell’assunzione di cibo, andando ad agire sui centri nervosi che controllano l’appetito.

Il Glp-1 è un ormone così chiamato perchè GLP sta per GLUCAGON LIKE PEPTIDE prodotto dallo stesso gene del glucagone, espresso non solo nelle α-cellule del pancreas, ma anche nelle cellule L della mucosa intestinale.
Nelle cellule L il pro-glucagone subisce un diverso processo di trasformazione, per cui da esso non viene prodotto glucagone, come nelle insule pancreatiche, ma due peptidi, il Glp-1 e il Glp-2, che mostrano una sequenza simile al glucagone per il 50%

Dal PROGLUCAGONE per clivaggio si ottengono:
 GLP1 che agisce sul metabolismo glicidico;
• GLP2 che agisce come fattore di crescita della mucosa intestinale.

Lontano dai pasti, in condizioni di digiuno la produzione di GLP1 da parte delle cellule L è piuttosto scarsa per aumentare di oltre dieci volte dopo un pasto abbondante. Il compito principale della GLP1 è quello di ottenere un effetto TURBO sulla produzione di insulina per far fronte all’improvvisa abbondanza di cibo. In condizioni “normali” sarebbe deleteria. Quindi, subito dopo la sua secrezione l’incretina è distrutta dal suo antagonista, l’enzima proteolitico DPP-4. Si tratta di una DiPeptidilPeptidasi situata sulla membrana di moltissimi tessuti come fegato rene e intestino e sulle cellule endoteliali. Questo tipo di cellule è ubiquitario, si trovano infatti in tutto il sistema circolatorio dal cuore ai più piccoli capillari dove svolgono funzioni di barriera.

IL KILLER DELLE INCRETINE GLP 1 E’ IL DPP-4

Tutti questi effetti in situazioni patologiche come il DIABETE II possono essere di grande aiuto. Inizialmente si è cercato di trovare un farmaco capace di imitare la GLP1. Fu individuato nell’Exendina un peptide naturale di 39 aminoacidi inizialmente identificato come prodotto della saliva in seguito all’assunzione di cibo nell’Heloderma sospectum, un rettile che vive nel deserto dell’Arizona. Questo ormone ha un’affinità di legame per il recettore pressoché sovrapponibile a quella del GLP1.

 

A metà fra una lucertola e una salamandra, il mostro di Gila è l’unica lucertola velenosa al mondo, è diffusa nell’America Settentrionale e fa parte della famiglia degli helodermatidae. Che la sua saliva potesse essere preziosa gli scienziati lo avevano capito da anni. Partendo dalle secrezioni salivari isolarono una sostanza capace di agire sul funzionamento dei recettori cerebrali e ne ipotizzarono l’impiego per la cura dell’Alzheimer, poiché negli animali migliorava memoria e apprendimento. Un altro filone di ricerca si concentrò sulla cura del diabete.

John Eng, l’endocrinologo del Bronx Veterans Affairs Medical Center di New York a cui si deve la scoperta, osservò la presenza di un ormone peptidico, inizialmente denominato exendin-4, caratterizzato da effetti ipoglicemizzanti che, come è stato osservato in seguito, sono assimilabili a quelli del glucagon-like peptide 1 (Glp-1).
Eng J, Kleinman Wa, Singh L, Singh G, raufman JP. Isolation and characterization of exendin-4, an exendin-3 analogue, from Heloderma suspectum ve- nom. Further evidence for an exendin receptor on dispersed acini from guinea pig pancreas. J biol Chem 1992;272:4108-15.

 

La secrezione di GLP-1 nel lume intestinale è stimolata dal cibo e in particolare dagli ZUCCHERI.
Il Glp-1 diffonde attraverso la lamina basale ed arriva nei capillari, dove viene degradato dalla DIPEPTIDILPEPTIDASI-4, localizzata nella faccia luminale delle cellule endoteliali, così solo un 25% raggiunge la circolazione portale.
Nel fegato, un ulteriore 40-50% è distrutto, così solo il 10-15% entra nella circolazione sistemica e può raggiungere gli organi bersaglio.

Sitagliptin appartiene nuova classe di farmaci denominati inibitori della DipePeptidilPeptidasi-4 (DPP-4). Il controllo gligemico ottenibile con il ricorso a questo farmaco è mediato dall’aumento della produzione di incretine. Dopo il pasto si determina la secrezione di insulina ma, in aggiunta a questa azione GLP-1 riduce la secrezione di glucagone cioè dell’ormone antagonista dell’insulina da parte delle cellule alfa del pancreas con riduzione della glicemia. GLP-1 e GIP nella loro attività sono limitati da un enzima, la dipeptidil peptidasi 4 (DPP-4), che le rende inattive. Sitagliptin agendo su questo meccanismo di controllo ed impedendo l’idrolisi delle incretine da parte del DPP-4 aumenta il rilascio di insulina.

La Società Italiana di diabetologia e l’Associazione dei medici diabetologi (SID – AMD) ha redatto di recente gli Standard Italiani per la cura del Diabete Mellito

 

Quando l’esame della percentuale di emoglobina glicata supera l’8% e, da anni si sta combattendo con le “pastiglie” per curare il diabete alimentare e il peso aumenta, invece di dover passare alla terapia insulinica con le iniezioni sottocutanee, oggi c’è una nuova strategia

  • Assumere meno carboidrati per risparmiare la funzione delle cellule pancreatiche malate.
  • Assumere, nei minuti successivi al pasto, la Metformina e svolgere dell’attività fisica breve ma intensa per abbattere la glicemia.
  • INTRODURRE una volta al giorno 100mg di SITAGLIPTIN per migliorare la capacità dell’organismo di adattarsi al pasto.

SITAGLIPTIN ha la funzione di far ringiovanire le cellule del pancreas malato e anziano e in questo modo consentire anche una migliore aderenza al programma dietoterapico. Quando si vedono dei buoni risultati sul peso e sugli esami, si è tutti più diligenti.

 

Eng J, Kleinman Wa, Singh L, Singh G, raufman JP. Isolation and characterization of exendin-4, an exendin-3 analogue, from Heloderma suspectum ve- nom. Further evidence for an exendin receptor on dispersed acini from guinea pig pancreas. J biol Chem 1992;272:4108-15.

 

Insulina e aumento di peso

L’insulina è un ormone dall’intensa attività anabolizzante, per questo motivo è il più importante fra quelli coinvolti nell’aumento di peso.
Si tratta di un ormone proteico sintetizzato e messo in circolo dalle cellule del pancreas endocrino chiamate isole di Langherans in onore del loro scopritore Paul Langherans (1847-1888). Una volta prodotto da queste strutture pancreatiche l’ormone per poter diventare attivo deve subire una serie di trasformazioni:

  • Il primo stadio di questo processo di trasformazione è la formazione della pre-proinsulina

  • Il secondo passaggio consiste nella trasformazione della pre-proinsulina in proinsulina.

  • Il terzo passaggio determina il distacco della catena C e la formazione dell’insulina vera e propria.

ANABOLISMO INSULINICO

L’insulina svolge la sua azione anabolizzante attraverso meccanismi responsabili dell’incremento ponderale, e addirittura è responsabile dell’inibizione di quelli coinvolti nel catabolismo, ovvero responsabili della diminuzione dei lipidi, delle proteine e dei carboidrati del corpo. Quindi l’insulina promuove l’aumento di peso, e inibisce il consumo delle riserve energetiche, inducendo un aumento dell’appetito.
In pratica mentre il Glucagone e l’Adrenalina sono gli ormoni riversati nel sangue in risposta al digiuno, per dare il via ai sistemi metabolici che bruciano le riserve energetiche di deposito e per prepararci ad affrontare le reazioni di “fuga o di aggressione”.
L’insulina al contrario è prodotta dopo il pasto.
Dopo il pasto costituito da cibi vegetali, in pratica da carboidrati, o idrati di carbonio, cioè quei cibi che con aggiunta di acqua, per fermentazione danno alcool (dalla frutta al riso, dai prodotti da forno ai prodotti dell’orto, ma anche dolci, bevande dolci, alcolici, ecc…) si determina un aumento della glicemia che a sua volta scatena la secrezione dell’insulina che ha come scopo primario quello di abbassare la concentrazione del glucosio nel sangue, passando come uno schiacciasassi su qualsiasi altro evento metabolico in atto, e svolge la sua azione dittatoriale, impositiva, principalmente nel fegato e nel tessuto adiposo.

Nella cellula del fegato, detta epatocita, l’insulina promuove la sua azione anabolizzante, (aumento di peso), accelerando la sintesi del glicogeno, una sorta di zucchero di riserva, e stimolando la sintesi degli acidi grassi liberi, responsabili nel tempo della malattia da sofferenza cronica del fegato, chiamata STEATOSI EPATICA. Al contempo impedisce il catabolismo (dimagrimento) inibendo la distruzione dei grassi e degli zuccheri di deposito.

1. Il glucosio penetra nell’epatocita grazie alle proteine GLUT e viene trasformato in glucosio-6-fosfato.


Il GLUCOSIO è una molecola di zucchero con 6 atomi di carbonio detto ALDOSO perché il gruppo aldeidico COOH è in posizione 1.

Il glucosio passa dal sangue all’interno delle cellule dei vari tessuti grazie a specifiche proteine trans membrana denominate GLUT delle quali si conoscono 5 tipi.

Le proteine GLUT 1 e GLUT 3 sono presenti in tutte le cellule del nostro corpo come di tutti i mammiferi. Portano il glucosio dal sangue alla cellula.
Le proteine GLUT 5 sono localizzate solo nelle cellule epiteliali dell’INTESTINO TENUE, ma funzionano al contrario cioè favoriscono il trasporto del glucosio dall’intestino al sangue.
Le proteine GLUT 2 sono presenti nel fegato e nelle cellule Beta del pancreas quelle che producono l’INSULINA. Favoriscono il passaggio del glucosio dal sangue al fegato e dal sangue alle cellule pancreatiche. Il glucosio entrato nel fegato viene assemblato come GLICOGENO mentre quando entra nelle cellule del pancreas endocrino stimola la produzione dell’ormone INSULINA.
Le proteine GLUT 4 trasportano il glucosio dal sangue alle cellule muscolari e adipose. Il numero di queste particolari proteine di trasporto aumenta quando i valori della glicemia si alzano.

2. In presenza di elevate concentrazioni di insulina o di una dieta ricca in carboidrati, aumenta la glicogeno sintesi cioè il glucosio-6-fosfato viene trasformato in glicogeno.

3. Inibizione della formazione dei chetoni e stimolazione della sintesi di grasso con attivazione dell’acetil-CoA-carbossilasi, che induce la produzione di acidi grassi.

NEL TESSUTO ADIPOSO

• Aumento della captazione del glucosio che nel tessuto adiposo è mediato da trasportatori insulino-sensibili GLUT 4 con sintesi degli acidi grassi e formazione di trigliceridi.

• Inibizione della lipolisi con riduzione dei substrati necessari per la sintesi dei corpi chetonici.

NEL TESSUTO MUSCOLARE

Nella cellula muscolare l’insulina promuove l’aumento della captazione del glucosio e stimola i metabolismi dei glicidi, dei protidi e dei lipidi.

1. L’insulina nel muscolo trasforma il glucosio-6-fosfato in glicogeno.
2. Stimola la conversione del piruvato in acetil-CoA, che entra nel ciclo di Krebs.
3. IN ASSENZA DI INSULINA L’ACETIL-COA È PRODOTTO A PARTIRE DAI GRASSI, CIÒ DETERMINA CHETOSI.

L’insulina aumenta la captazione degli aminoacidi in circolo da parte della cellula muscolare, e ne riduce il rilascio. Questa sua azione anabolizzante ben nota nel mondo sportivo agonistico, si svolge principalmente sull’alanina e sulla glutammina, aminoacidi essenziali nella formazione del glucosio.

 

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Dormire poco fa ingrassare

C’è una ragnatela di fattori che influenza il peso corporeo e che contribuisce al rischio obesità: geni,metabolismoormoni e naturalmente la quantità di calorie assunte e bruciate durante il giorno.
A tutti questi fattori si è aggiunto il sonno.
Una ricerca statunitense apparsa sulla rivista “Sleep”, infatti, dimostra che dormire un adeguato numero di ore per notte contribuisce a controllare meglio il peso corporeo. Ma niente siesta. Solo il sonno notturno sarebbe in grado di migliorare l’equilibrio ormonale riducendo i fattori obesogeni.
<<Più si dorme e meno i geni diventano importanti nel determinare il peso corporeo>>, ha spiegato l’autore dello studio Nathaniel Watson, Vicedirettore dello ”Sleep Disorders Center” dell’Università di Washington.
Nell’indagine effettuata su 1088 coppie di gemelli, di cui 604 omozigoti, il gruppo di Watson ha mostrato che chi dormiva abitualmente meno di sette ore per notte tendeva a mettere su chili più facilmente e stentava a tenere sotto controllo il peso rispetto a chi trascorreva più tempo tra le braccia di Morfeo.
Con meno di sette ore di riposo notturno l’influenza dei geni sul peso corporeo risultava del 70%, mentre tra coloro che si concedevano più di nove ore di sonno l’influenza dei geni sul peso scendeva al 32%, (meno della metà) e i fattori ambientali, come la dieta e lo sport, arrivavano al 51% (10 volte tanto).
<<I risultati suggeriscono che un sonno più breve offre un ambiente più “permissivo” all’espressione dei geni legati all’obesità. O potrebbe essere che un sonno più lungo sia protettivo, sopprimendo l’espressione di questi geni>>, ipotizza Watson.
Non è ancora chiaro, infatti, quale sia il meccanismo biologico attraverso cui il sonno contribuisca al controllo del peso, ma nuove ricerche hanno dimostrato che dormire uno scarso numero di ore per notte, in genere meno di sette, può comportare squilibri ormonali che riguardano il rapporto tra l’ormone grelina e l’ormone leptina facilitando l’accumulo di chili in eccesso e il rischio di insulino-resistenza, che spiana la strada al diabete tipo II.

I disturbi del sonno e i frequenti risvegli durante la notte portano ad un aumento dell’ormone grelina che altera il senso dell’appetito e della fame verso alimenti ricchi di carboidrati durante la giornata. L’insonnia inoltre causa una riduzione di un altro ormone, la leptina, che è l’arbitro della sazietà bloccando il desiderio di cibo. Chi dorme poco, tende ad ingrassare perchè altera l’equilibrio tra appetito e fame. Per dimagrire occorre dormire, avere una buona qualità del sonno, che porta al controllo nella secrezione di grelina e di leptina. 

– la Gastrina, secreta dallo stomaco quando l’acidità diminuisce va in circolo per stimolare la secrezione di acido cloridrico, riabbassando il pH gastrico

– la Grelina, è prodotta sempre dallo stomaco soprattutto quando si è a digiuno e ha lo scopo di stimolare potentemente il rilascio dell’ormone della crescita (GH) per questo fu denominato liberatore di GH, ovvero Gh – relina in italiano Grelina. Oltre a quella di stimolo dell’ormone della crescita (GH), una serie di evidenze sperimentali, ha assegnato alla grelina un ruolo nell’assunzione alimentare e nella regolazione del bilancio energetico e nel controllo del peso corporeo. La somministrazione farmacologica di GRELINA induce aumento dell’appetito, suggerendo perciò che la sua inibizione subito dopo un pasto possa partecipare alla cessazione del pasto.


Nelle persone obese i livelli di grelina sono significativamente ridotti rispetto al soggetto normopeso, a dimostrazione del fatto che per ingrassare è necessario mangiare anche senza avere appetito. Inoltre è stato dimostrato che i livelli dell’ormone nel paziente obeso non variano dopo mangiato.
Recenti osservazioni circa le implicazioni metaboliche della grelina, hanno reso evidente come l’aumento del tessuto adiposo, ottenuto in seguito al trattamento con grelina, faccia aumentare il QR (quoziente respiratorio) che assume il significato di un ridotto metabolismo dei grassi di riserva.

Nell’insieme, quindi, la grelina può essere considerata come potente stimolo dell’appetito che origina dallo stomaco ed agisce a livello del sistema nervoso centrale, portando da un lato ad aumentata secrezione di GH, e dall’altro attivando tutta una serie di reti neuronali con lo scopo di ottenere un bilancio energetico positivo.

Il tessuto adiposo, tra l’altro, sintetizza e libera l’ormone leptina che trasportato attraverso la barriera emato-encefalica penetra nel Sistema Nervoso Centrale dove agisce sui recettori presenti in diversi neuroni dell’ipotalamo per spegnere la fame e indurre la sazietà.

Come già accennato in precedenza, l’ipotalamo svolge un compito di controllo alimentare, vigilando sui centri della fame e della sazietà, in modo che lavorino per il mantenimento della salute dell’organismo.

Questo centro è definito adipostato e agirebbe stimolando il centro della fame e/o inibendo quello della sazietà, a seconda che le riserve di grasso diminuiscano o  aumentino, in modo da far sì che il peso corporeo rimanga costante nel tempo.

L’adipostato agisce in base a stimoli che provengono dalla periferia, per esempio lo stomaco o lo stesso tessuto adiposo, ed è in grado di distinguere anche tra un certo tipo di alimenti e altri, ragion per cui può stimolare in modo differenziato la ricerca di carboidrati o di proteine.

L’adipostato non solo regola l’alternarsi di fame e sazietà nei vari momenti della giornata ma controlla anche la stabilità dell’organismo attorno a un certo peso di fronte a una drastica riduzione del cibo, per esempio, può ridurre il consumo di energia.

 

Bibliografia:

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Alterazioni del comportamento alimentare

Fra le molteplicità delle cause proposte per spiegare l’obesità, l’iperalimentazione, nonostante la sua ovvietà, per molto tempo non è stata considerata che marginalmente dalla comunità scientifica. Solo i recenti sviluppi metodologici, sul fronte della misurazione della spesa energetica, hanno permesso di rivalutare l’importanza dell’iperfagia fra i meccanismi responsabili dell’obesità.
Gli esperimenti sul comportamento alimentare consentono di affermare che in condizioni di normalità il senso di sazietà interviene facendo interrompere l’assunzione di cibo come se attraverso particolari stimoli e sistemi ormonali siamo in grado di capire che il pasto una volta digerito e assimilato fornirà nutrimento sufficiente a riportare l’equilibrio. D’altro canto i sistemi di regolazione interna possono essere disattivati da stimoli esterni premiativi, come dimostra il fatto che, anche dopo un pasto luculliano, moltissime persone non esitano a dare l’assalto al carrello dei dessert.
Il comportamento alimentare deve necessariamente prendere in considerazione valutazioni qualitative di difficile misurazione, che spaziano dai concetti di prelibatezza a quelli di scelta emozionale del cibo oltre che la valutazione soggettiva di fame, sazietà, piacere e bisogno.

 

IL PIACERE FRA EMOZIONE E MOTIVAZIONE

Prima di tutto, può esserci utile leggere un articolo di Luca Doninelli pubblicato sul quotidiano “Il Giornale”. Il giornalista, raccontando la sua esperienza personale, riesce a descrivere bene le difficoltà che si affrontano nel combattere i problemi di eccessiva alimentazione.

“Estate, vacanza, mare, costume da bagno. Chili di troppo da smaltire. Dieta. Palestra. Sauna. Eccetera eccetera. Bla bla bla.
Ma il dato è, caro lettore, che l’85% dei tentativi di mettersi a dieta fallisce. E’ un dato su cui riflettere. Vuol dire che su 100 euro spesi da dietologi, 85 sono soldi buttati via. Il dietologo da parte sua, intasca i soldi senza nessun senso di colpa. La colpa, infatti, non è sua. I suoi consigli erano buoni.
Una delle prime cose che il dietologo vi dice è che c’è in giro una gran quantità di ciarlatani che promettono diete miracolose. Per dimagrire bisogna faticare. Il fatto è che un obeso non ha soltanto il problema di dimagrire. Fosse solo quello, la percentuale di diete giunte a buon fine salirebbe di moltissimo.
C’è un altro problema: quello di non riuscire a mettersi a dieta. E più è grosso il primo problema e più è grosso il secondo. Dunque, l’obeso va dal dietologo e gli dice: non riesco a dimagrire. E il dietologo gli risponde: si metta a dieta. Cioè: proprio la cosa che non riesce a fare. Il gioco è sottile.
Il dietologo sa bene che c’è quel problemino in più, ma deve fingere che non esista, sia perché verrebbe meno il rapporto – essenzialmente stregonesco – che lega il paziente al medico, sia perché, una volta scoperto il gioco, anche quel 15% di successi diventerebbe un numero a rischio”.

L’obesità su base psicosomatica, implica necessariamente un’iperalimentazione come conseguenza di uno stimolo emozionale. La sovralimentazione pertanto in questo caso sarebbe una risposta di tipo conscio a problemi esterni, che interagiscono con la particolare situazione interna di stress e confusione della persona (Kaplan & Kaplan, Robbins). Simili analisi sono state suggerite per spiegare il comportamento bulimico (Mizes). I primi tentativi volti a far confluire i risultati di laboratorio, condotti su animali da esperimento resi obesi a causa di lesioni del nucleo ventromediale, e il comportamento di persone obese risale a (Schachter). Egli dimostrò una sorta di analogia comportamentale fra gli animali e le persone per quanto concerne il rapporto patologico con il cibo. Entrambi rilevano, rispetto ai gruppi controllo, una maggiore sensibilita verso gli aspetti palatali degli alimenti, minore disposizione al sacrificio per ottenere il cibo e una sorta di incapacità di compensazione calorica, infatti, continuavano ad alimentarsi con la stessa intensità sia a digiuno sia dopo l’assunzione di cibo, se questo risultava molto appetibile. Tali osservazioni furono ritenute espressive di una forma di obesità causata dall’eccessiva sensibilità verso le proprietà remunerative del cibo, associata ad una ridotta percezione degli stimoli di fame e sazietà Spitzer e Rodin (Spitzer, Rodin) giunsero alla conclusione che la palatabilità verso il cibo fosse la più importante variabile capace di differenziare il comportamento dell’individuo normopeso e di quello in sovrappeso.

Sono le endorfine, così simili alle sostanze estratte dal papavero da oppio, le responsabili del senso di benessere e di appagamento, che proviamo nell’introdurre certi alimenti e in particolar modo i vegetali, il latte e i suoi derivati.
L’atto del nutrirsi diventa così dipendente non dagli stati fisiologici di fame e sazietà ma diventa il complesso risultato di sensazioni emozionali elaborate proprio nell’area limbica responsabili dei sentimenti di piacere e bisogno, prelibatezza e scelta edonistica del cibo. Le endorfine sono capaci in certe persone e a seguito di particolari stimoli di spostare la soglia del dolore ma, le difficoltà ci rendono migliori solo quando il SISTEMA LIMBICO reagisce positivamente liberando dopamina per convincerci che è giusto soffrire per poi vincere. Si è persino capaci di trovare del buono nel fare la dieta, a patto che dopo una sofferenza ragionevolmente protratta si possano avere risultati accettabili.

Ogni stimolo dell’ambiente esterno provoca contemporaneamente, emozioni, pensieri, e modificazioni organiche capaci di determinare una cascata di eventi tramite neuropeptidi, come la GASTRINA, la COLECISTOCHININA e molti altri, definiti sostanze informazionali” cioè capaci di trasportare informazioni e condizionare il nostro comportamento quanto la mente. Basti pensare all’attacco di colite che ci sorprende in circostanze spesso difficili da prevedere e che molti addirittura non riescono a contenere.
Tra i pionieri sugli studi comportamentali, Shachter e Singer nel 1962 svilupparono un esperimento capace di verificare il rapporto tra mente e corpo.
Mediante l’iniezione di una dose di adrenalina in alcuni soggetti, che credevano si trattasse di una semplice vitamina per migliorare la capacità visiva, studiarono le reazioni comportamentali. Confrontarono queste persone con un secondo gruppo al quale fu somministrata, seguendo le stesse procedure, un’iniezione apparentemente identica ma, nella fiala vi era solo del placebo.
Alcuni pazienti dei due gruppi furono informati in uno dei tre modi seguenti:

  1. alcuni vennero informati degli effetti collaterali possibili legati all’adrenalina, palpitazioni, tremori e simili, senza mai ovviamente nominare la sostanza;
  2. alcuni non vennero in nessun modo informati;
  3. altri, ricevettero informazioni fuorvianti, venne detto loro che avrebbero avvertito prurito o cefalea.

Dopo l’iniezione e il colloquio sugli effetti collaterali tutti furono messi ad aspettare in stanze separate dove erano presenti psicologi dello staff di sperimentazione, con il preciso scopo di fungere da provocatori.
Alcuni provocatori, avevano un comportamento euforico, altri aggressivo, e dopo aver inveito, uscivano sbattendo la porta, atri denunciavano pruriti e nausee. Tutte le stanze erano dotate di cineprese nascoste dietro finti specchi per monitorare il comportamento di tutti.
Il primo gruppo (1), i cui soggetti avevano ricevuto l’iniezione di adrenalina ed erano stati correttamente informati degli effetti collaterali, dimostrarono, di essere stati influenzati pochissimo, dal comportamento dei provocatori.
Quelli che non erano stati informati (2) e, quelli che avevano ricevuto informazioni fuorvianti (3), si dimostrarono i più influenzabili da parte dei provocatori. Riferirono di essersi sentiti euforici o molto irritati, secondo il tipo di agitatore che era stato loro abbinato. Questo tipo di sensazione era distribuita in modo bilanciato, sia fra coloro che avevano ricevuto l’iniezione di adrenalina, sia fra i pazienti che avevano ricevuto solo l’iniezione di placebo.
Insomma molto può fare una cura ma molto del risultato dipende dall’idea che ci siamo fatti della cura stessa.
Siamo tutti molto influenzabili!

Più scientifico appare allora lo studio comportamentale condotto su animali da esperimento, ad esempio mediante una ESB, (Electrcal Stimulation of the Brain). In pratica con un elettrodo stimolatore posto in un’area del cervello è possibile determinare la stimolazione cerebrale gratificante.
Questa scoperta avvenne per caso nel 1954, ad opera del dott. James Olds mentre studiava la stimolazione avversativa di un treno di impulsi elettrici nella formazione reticolare del cervello dei ratti. Per puro caso, per errore, un elettrodo venne posto nell’ipotalamo. Come da protocollo, ogni volta che l’animale si avvicinava ad un angolo della gabbia veniva inviata un’onda sinusoidale a 60 cicli e con stupore a seguito di quella scarica elettrica il ratto non solo non fuggiva ma “anzi vi tornava rapidamente dopo la breve uscita che seguiva alla prima stimolazione, non solo ma assurdamente vi ritornava ancora più rapidamente dopo un’uscita ancora più breve a seguito della seconda stimolazione. In corrispondenza della terza stimolazione elettrica, l’animale sembrava senza alcun dubbio ritornare all’angolo per “averne ancora”.
In che modo funzioni lo stimolo elettrico della ricompensa è ancora controverso, certo che la zona cerebrale più studiata è il fascicolo pro-encefalico mediale MFB (medial forebrain bundle). Questo fascio, sembra esercitare una sorta di rinforzo motivazionale. Quando l’animale è completamente sazio di cibo, con la stimolazione ESB è possibile farlo mangiare ancora.
Rowland e Antelman mentre studiavano il comportamento alimentare nei ratti nel 1976 scoprirono un fatto sconcertante.
Applicando una clips da carta o una pressione telecomandata, apparentemente non dolorosa, alla coda del ratto due volte al giorno provocava un incremento dell’assunzione calorica giornaliera del 129%, rispetto ad animali controllo che non subivano tale trattamento, e che avevano libero accesso allo stesso tipo di cibo. Rowland e Antelman proposero, e studi psico-comportamentali recenti lo confermerebbero che lo stress prolungato e poco aggressivo possa, allo stesso modo, indurre iperfagia anche nelle persone. È stato ipotizzato che la stessa obesità e le conseguenze sociali negative che la accompagnano, sono in grado di produrre uno stress tale da causare iperfagia, innescando un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
Koob, Fray e Iversen dimostrarono negli anni successivi che lo stesso fastidioso stress, applicato alla coda del ratto era in grado di far correre l’animale attraverso un labirinto poter rosicchiare un tronchetto di legno con il quale distrarsi. Al contrario il gruppo di ratti controllo, non stressati dalla fastidiosa pressione intermittente alla coda, non manifestavano il bisogno di rodere il tronchetto.
La continua attività orale, diventa in pratica un modo per combattere lo stress, d’altro canto tutti i genitori sanno quanto rilassante diventi il succhiotto per il neonato e, prima o poi tutti abbiamo sperimentato il piacere del bacio continuato, insistito, inebriante e fine a se stesso non dato per comunicare un sentimento ma solo proprio per il profondo piacere che si ottiene.
Ecco spiegato il rodere continuo, tipico di molte persone, che fanno uso di gomme da masticare, o si torturano le dita rosicchiando le pellicine attorno alle unghie, oppure mordono le stesse unghie, o hanno sempre una caramella in bocca, o fumano ripetutamente.
Questo bisogno orale compulsivo è una malattia che rappresenta una sorta di auto terapia. Può essere ricondotta a un disagio psicologico ma molto più frequentemente è dovuta alla sola necessità di stimolare l’area limbica, che più è stimolata più ha bisogno di esserlo.
Tuttavia modi diversi di ottenere questo piacere, potrebbero rappresentare un aiuto nella cura di questo disagio. Ecco perché insistiamo sul piacere che deriva da tutte le attività che possono distrarre dal bisogno di alimentarsi: l’igienismo alimentare, le regole, il movimento di breve durata ma cadenzato sui pasti, insieme all’attività fisica guidata, possono innescare meccanismi virtuosi responsabili del mantenimento dello stato di alimentazione controllata.

 

STORIA DI G. REA

G. Rea è un facoltoso uomo d’affari, ma è soprattutto un mio paziente da alcuni anni. Ricordo ancora le mie sensazioni contrastanti durante la prima visita. Bassa statura, voce strozzata dall’obesità e movimenti resi goffi da un addome molto sporgente. Eppure il signor Rea, spogliato di quasi tutti i suoi abiti ricercati, aveva una tale personalità da rendermi addirittura nervoso

 

I risultati delle prime analisi forse innervosirono lui: dei suoi 120 chili di peso, quasi la metà era costituita da massa grassa. Gli chiesi il motivo della visita, lui mi rispose: “Il mio corpo è stato plasmato dai migliori cuochi, ma le rozze conoscenze mediche e i bypass non bastano a risolvere la mia insufficienza cardiaca. Sono qua perché sono disposto a mangiare di meno, pur di continuare a mangiare”. Fu una grande vittoria: il signor Rea perse 40 chili e oggi ha felicemente superato i settant’anni.
Perché una persona intelligente e con tanta gioia di vivere si riduce a mangiare, bere o fumare tanto da morirne? Perché è una persona malata e la malattia colpisce tutti, belli e brutti, intelligenti e stupidi. La persona sana ha il bene più prezioso, ma solo quando è messa spalle al muro dalla malattia capisce l’importanza delle cure.
Le medicine non fanno male, piuttosto fa male essere nella condizione di doverle assumere. In due parole, essere malati. Bisogna però evitare l’intossicazione a lungo termine: le medicine non sono caramelle.
Il successo terapeutico dipende da quattro passaggi fondamentali: visita accurata, prescrizione degli esami clinici di approfondimento, diagnosi e terapia. Il nemico più grande è la ricerca del risultato immediato; per questo gli stregoni che promettono di farci perdere venti chili con una chiacchierata sono da evitare.
Il vero successo non è perdere peso. Il vero successo è mantenerci magri nel tempo, assumendo nei confronti del cibo un atteggiamento gioioso anziché morboso. Per raggiungere questo obiettivo servono circa quattro anni, durante i quali viene progressivamente diminuita la somministrazione di farmaci. Il paziente è come un guerriero che, giorno dopo giorno, costruisce la propria corazza; citando Goethe, “non è forte colui che non cade mai, ma colui che cadendo si rialza”. Così durante la terapia sono possibili ricadute a cui contribuiscono anche gli stress quotidiani: imparare a controllarli significa riuscire a normalizzare il nostro comportamento alimentare.
Prima di poter accettare le cure, però, dobbiamo essere consapevoli di essere malati. “Non ho dolore, quindi sono sano”: è il più grande inganno in cui possiamo cadere. Fumare troppo o avere una pancia troppo sporgente può non causare dolore, ma sono gravi segnali per la nostra salute. Segnali, appunto, di una malattia.

 

QUESTIONARIO PSICOMETRICO

Questionario Imagine and Behavior Restraint Scale (IBR)

Questionario per misurare la disposizione a dimagrire

Il questionario messo a punto dal Dott. Claudio Saluzzo ha la scopo di misurare tre dimensioni del comportamento alimentare : restrittività, disinibizione e sensibilità alla fame, estese all’elemento forma e cura del corpo. Il questionario chiamato IBR ha l’intento di fornire un contributo per meglio definire la disposizione a dimagrire.
Sulla base della revisione della letteratura sull’argomento, e dopo tadotto, studiato e adattato al comportamento alimentare italiano la Restraint Scale di Herman e i questionari di Pudel e di Stunkard per ciò che riguarda l’atteggiamento verso il cibo, si è voluto creare uno strumento capace di considerare :

Restrittività sia come controllo cognitivo dell’introduzione di cibo e dei cambiamenti di peso, sia come controllo della propria forma attraverso lo sforzo fisico
Disinibizione
a) come comportamento da intendersi patologico, da parte di persone obese che, pur nella necessità clinica di dover dimagrire, nulla fanno ne hanno intenzione di fare per attuare un miglioramento della loro condizione, sia sul paino del controllo alimentare che su quello dell’attività fisica
b) come comportamento da intendersi normale, da parte di coloro che magri, mangiano tutto ciò che vogliono quando vogliono, fanno dell’attività fisica solo se ne hanno voglia e pur non attuando alcuna restrizione conservano una buona forma fisica.

Sensibilità alla fame e alla fatica fisica come condizione di eccessivo interesse per il cibo e di facile stancabilità verso lo sforzo fisico sportivo… CONTINUA

Bibliografia:

ANTELMAN, S. M. ROWLAND, N. E., and FISHER, A.D. 
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KOOB, G. F., FRAY, P.J., and INVERSEN, S. D. 
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SPITZER & RODIN, 
“Human eating behavior: A critical review of studies in normal weight and overweight individuals”. 
Appetite (1981) 2: 293-329.

 

 

Sovrappeso e obesità

L’obesità è caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute.

Si tratta di una patologia cronica, legata a molteplici cause e per questo definita multifattoriale, accompagnata da aumentato rischio di morbilità e mortalità. Tuttavia per molti anni la persona obesa può vantarsi di “godere di ottima salute”, studia, lavora, pratica attività ludiche e spesso si veste con cura ed è sinceramente convinta del proprio fascino al pari di chi fuma o beve alcolici in eccesso, convinta che i cambiamenti del corpo siano solo un problema esteriore. <<Se voglio smetto di fumare anche domani>>, oppure <<Se voglio posso smettere di ubriacarmi>> e infine, <<sapessi di quanti chili sono riuscito a dimagrire nella mia vita, se voglio da domani mi metto a dieta…>>.
Fino a quando la classe medica in primo luogo e poi quella degli opinionisti e dei politici continua a credere che non si tratti di altro che di un “problema funzionale, che limita la qualità della vita solo se si oltrepassano certi limiti” e il servizio sanitario nazionale o le assicurazioni sanitarie non riconoscono le patologie del comportamento come “malattie vere”, i proclami dell’OMS rimarranno delle semplici grida manzoniane come quelle sull’inquinamento o sullo smaltimento dei rifiuti.
Nel suo “Rapporto del 2002 sulla salute in Europa “, l’Ufficio regionale europeo dell’OMS definisce l’obesità come: “epidemia estesa a tutta la regione europea, circa la metà della popolazione adulta è sovrappeso e il 20-30 per cento degli individui, in molti paesi, è definibile come clinicamente obeso”. La Conferenza Europea sull’obesità di Copenhagen tenutasi l’11 e il 12 settembre del 2002, ha evidenziato che circa il 4 per cento di tutti i bambini europei è affetto da obesità.
Per quanto riguarda in particolare l’obesità addominale  intesa come giro vita superiore a 102 cm nell’uomo e a 88 cm nella donna – secondo un’indagine pubblicata su Obesity Research, la percentuale totale di individui dal “giro vita” troppo grande, nei pesi dell’area occidentale, è pari al 46% con una netta prevalenza per le donne che arriva al 55,1% della popolazione femminile mentre si ferma al 36,9% per cento dei maschi. Analizzando comparativamente i diversi studi epidemiologici europei, la Spagna è al secondo posto con il 34,7 per cento di prevalenza di obesità addominale in entrambi i sessi, seguita dall’Italia, dal Regno Unito (27,5 per cento), dalla Francia (26,3 per cento), dalla Germania (20,3 per cento) e dall’Olanda (18,2 per cento).
Nonostante tutti i milioni spesi per l’analisi epidemiologica dell’obesità nei paesi industrializzati, quattro anni dopo la Conferenza ministeriale europea dell’OMS sull’azione di contrasto all’obesità, tenutasi a Istanbul il 15-18 novembre 2006 riprende le solite frasi allarmistiche e inascoltate. A conclusione dei lavori congressuali l’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS pubblica che …”L’obesità rappresenta per l’Europa una sfida sanitaria pubblica senza precedenti, finora sottostimata, scarsamente valutata e non perfettamente accettata come problema governativo strategico associato a notevoli implicazioni economiche. L’epidemia che sta emergendo nei bambini accentuerà notevolmente il carico dovuto a problemi di salute, a meno che non siano adottati provvedimenti urgenti, con approcci originali, basati su una chiara comprensione dei determinanti economici dell’epidemia e sul rifiuto dei presupposti tradizionali circa le sue cause”.
Con tutto ciò, le assicurazioni non hanno esteso la copertura sanitaria alla cura dietologica del sovrappeso e dell’obesità, né è cambiato qualcosa circa le difficoltà di accedere al servizio sanitario nazionale per gli esami dietologici che implicano spesso la monitorizzazione del metabolismo mediante l’esame della Triiodotironina totale e delle catecolamine.
Allo stato attuale il Dietologo è ancora uno specialista di serie B al quale ci si deve rivolgere perché afflitti da una patologia di serie A..come il Diabete o l’Artrosi degli arti inferiori o, con molte riserve, per la cura dell’Ipertensione Arteriosa.

OBESITA’ GENETICA

Grassi si nasce o si diventa? L'”obesità”, che affligge meta’ della popolazione adulta nei Paesi industrializzati, è un problema che nasce dall’incrocio di fattori genetici, ambientali e comportamentali. Ma che cosa conta di più? Quando tre anni fa Jeffrey Friedman, dalle Rockefeller University a New York, scoprì nei topi il gene dell’obesità, di cui esiste un equivalente nell’uomo, si pensò di avere l’asso nella manica.
Il gene, chiamato “ob”, regola le funzioni di una proteina, la leptina, che e’ prodotta dalle cellule di grasso, circola nel sangue e dice al cervello quanto ne è immagazzinato nel corpo. I topi che non ne producevano abbastanza erano obesi: sarebbe bastato modificare i livelli di leptina per curare l’obesità? Gli esperimenti dimostrarono che non era così semplice.
Come per molte altre condizioni patologiche, l’obesità è il risultato di un’interazione tra fattori genetici e ambientali.
Studi condotti su gemelli identici adottati alla nascita da famiglie diverse per cultura e status sociale hanno dimostrato che da adulti presentavano con assoluta prevalenza un rapporto peso e altezza simile alla famiglia biologica e non alla famiglia di adozione.

(Stunkard, A. J., Sorensen, T. I. A., Hannis, C., Teasdale, T. W., Chakraborty, R., Schull, W. J. & Schulsinger, F. (1986b). An adoption study of human obesity. New England Journal of Medicine 314, 193-198).

Le caratteristiche genetiche predisponenti l’obesità, perché si manifestino, è necessario che siano associate ad un ambiente favorevole, la percentuale di obesità che può essere attribuita a fattori genetici varia, a seconda della popolazione esaminata, dal 6% al 85%, un divario troppo grande perché la genetica possa essere considerata la causa principale.

(Yang W, Kelly T, He J (2007). Genetic epidemiology of obesity. Epidemiol Rev 29: 49–61).

A partire dal 2006 sono sati trovati oltre 41 geni che controllano l’appetito e il metabolismo con polimorfismi predisponenti all’obesità, ma dal momento che non siamo ingabbiati come i topi di laboratorio di Friedman l’aumento di peso si verifica solo quando l’apporto alimentare è eccessivo e l’ambiente è favorevole.

(Poirier P, Giles TD, Bray GA, et al. 2006. Obesity and cardiovascular disease: pathophysiology, evaluation, and effect of weight loss. Arterioscler. Thromb. Vasc. Biol. 26 (5): 968–76)

La diffusione dell’obesità anche nei paesi emergenti dimostrerebbe che le mutazioni genetiche favorenti l’aumento di peso potrebbe ricondursi alla storia evolutiva della nostra specie.
La capacità di approfittare dei rari periodi di abbondanza di cibo da immagazzinare sotto forma di grasso, sarebbe vantaggiosa durante i periodi di carestia e le persone con riserve adipose maggiori avrebbero maggiori probabilità di sopravvivenza. Questa tendenza a conservare il grasso, però, sarebbe negativa in una società con grandi disponibilità e varietà di cibi. Questo spiega perché gli indiani Pima, che si sono evoluti in un ecosistema desertico, hanno sviluppato alcuni dei più alti tassi di obesità, quando esposti ad uno stile di vita occidentale.

(Wells JC (febbraio 2009). Ethnic variability in adiposity and cardiovascular risk: the variable disease selection hypothesis. Int J Epidemiol 38 (1): 63–71

Anche l’obesità che un tempo si riteneva tipica di certe malattie genetiche come la sindrome di Prader-Willi o la sindrome di Bardet-Biedl ora è considerata una semplice complicanza. Se adeguatamente curati e guidati questi pazienti presentano un BMI pressoché normale.
Il rinnovato orgoglio della propria identità tra la popolazione degli indiani Pima ha fermato il diffondersi dell’obesità che intorno ai primi anni 90 era otto volte superiore alla media nazionale e mentre prima era normale trovare adulti diabetici già a 35 anni che pesavano oltre 230 chili, ora è molto meno frequente.
E’ possibile che una adeguata strategia terapeutica riesca a ridimensionare il diffondersi dell’ eccessivo aumento di peso.
E’ su questa base che nasce la terapia nutrizionale, comportamentale e farmacologica, dell’obesità con lo scopo di cambiare la prospettiva con la quale il paziente è abituato a vedere l’atto del nutrirsi.

 

Bibliografia:

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Calorie e dispendio energetico

COME SCOPRIRE QUANTE CALORIE DOBBIAMO INTRODURRE

L’emozione gioiosa che dà il possesso di un’automobile perfetta nel suo funzionamento e splendida nelle forme, è preceduta sempre dal superamento di un esame che abiliti alla guida del mezzo.
L’automobilista deve conoscere il funzionamento degli “organi” principali della sua auto, quali sono le parti più deteriorabili e quindi da controllare periodicamente; sa che dopo tante centinaia di chilometri deve verificare il livello dell’acqua della batteria; che dopo tante magliaia di chilometri deve cambiare l’olio, far rifare i freni, sostituire i pneumatici, ecc.
Per la splendida “supercar”, quale è il nostro corpo, che la natura ci ha messo a disposizione non esiste la necessità di quell’esame di abilitazione. Dopo le prime fasi di vita e superata l’infanzia protetta dall’amore dei genitori, il corpo è abbandonato al destino del suo incosciente possessore.
L’automobilista prudente, quello che non vuole avere sorprese, dedica alla cura dell’auto, secondo una statistica internazionale, almeno due ore a settimana.
Quante cure e quante ore dedica quell’automobilista alla “conoscenza” e alla “manutenzione” della “macchina” assai più complessa, importante, delicata, quale è egli stesso?
La “supercar uomo” è la più prodigiosa delle macchine, capace di compiere ciò che nessuna macchina potrà mai fare: pensare. Questo grazie al cervello, 1360 grammi di materia vivente che coordinano tutte le attività del corpo, al quale è deputato il compito di agire.
Per mezzo del sistema scheletrico gli animali superiori e l’uomo possono reggersi in piedi, camminare, saltare, possono cioè muoversi e superare l’attrazione fisica esercitata dal forza di gravità che altrimenti li schiaccerebbe a terra.
Il cervello riceve, mediante gli organi di senso, le informazioni dal mondo esterno e interno, le controlla, le coordina e trasmette le decisioni formulate su queste basi ai nervi: questi portano i messaggi del cervello, “stimoli”, ai muscoli che imprimono alle strutture ossee i movimenti con l’intensità e la rapidità loro impartite.

I muscoli nel loro insieme formano la massa delle carni che durante il lavoro guizzano sotto la pelle.
L’energia dei muscoli è fornita dalle calorie liberate dalla combustione delle sostanza nutritive che noi assumiamo con gli alimenti e che bruciano appunto nei muscoli.
L’ossigeno per la combustione è fornito dall’apparato respiratorio, che lo “assorbe” dall’aria. L’ossigeno, a sua volta, serve a bruciare gli alimenti che noi ingeriamo, trasformando l’energia chimica che essi contengono in altre forme di energia, secondo i vari organi, così distribuite:
– energia motoria: per i muscoli;
– energia secretiva: per le ghiandole (fegato, reni e tiroide);
– energia nervosa: per il cervello, midollo spinale e nervi.

L’eliminazione delle scorie prodotte dal processo combustivo è opera della pelle, dei reni e dell’intestino.
Il corpo umano è costituito per un 15% da lipidi, un altro 15% è rappresentato dai protidi, il 5% è formato da sostanze inorganiche e la restante parte da acqua. I carboidrati entrano nella costituzione del nostro corpo solo per l’1%.
Pertanto elementi essenziali per la realizzazione delle complesse strutture organiche sono: protidi, lipidi, sostanze inorganiche e acqua, mentre i carboidrati rappresentano la benzina della nostra “supercar” biologica.

 

Qualsiasi essere vivente per vivere, crescere e riprodursi, deve continuamente prelevare energia e materia dall’ambiente circostante.
Gli alimenti sono l’unica fonte da cui poter estrarre, attraverso i processi digestivi, i nutrienti, utili per ricavarne energia.
L’unità di misura di questa energia apportata dai cibi è la caloria.

In Scienza dell’Alimentazione, con il termine di caloria alimentare o grande caloria, indicata con Cal (C maiuscola) o kcal si indica la quantità di energia necessaria per elevare di un grado la temperatura di un litro di acqua distillata a livello del mare ed equivale a 1000 piccole calorie.

Per calcolare il valore calorico di un alimento si utilizza la Bomba Calorimetrica. Si tratta di uno strumento scientifico sofisticato, che permette di determinare il calore di combustione o potere calorico, di un alimento. Sulla base dell’innalzamento di temperatura del bagno calorimetrico, lo strumento misura il calore di combustione della sostanza.

 

La prima applicazione di un calorimetro per misure su organismi viventi fu fatta nel 1780 da Lavoisier e da Laplace che misurarono il calore generato da una cavia (porcellino d’India) grazie al Calorimetro di loro invenzione. Misero l’animale in un contenitore coibentato, circondato da ghiaccio e assunsero che il ghiaccio che si scioglieva era solo dovuto dall’attività metabolica dell’animale.

Negli animali superiori e nell’uomo l’energia chimica contenuta negli alimenti è utilizzata dall’organismo per mantenere stabile la temperatura corporea e svolgere l’attività fisica ecessaria.
Per calcolare il metabolismo energetico di un individuo si può procedere misurando il valore calorico degli alimenti che la persona ha introdotto, la quantità di calore prodotto e il lavoro meccanico svolto.
Mediante la calorimetria è possibile stabilire il consumo di ossigeno senza sforzo. In effetti, se l’organismo non compie lavoro, quasi tutta l’energia metabolica viene ceduta sotto forma di calore. Per questo il metabolismo energetico è misurato come quantità di calore e l’unità di misura utilizzata è la grande caloria (Cal).
Quando si determina un bilancio energetico positivo l’energia prodotta in eccesso viene accumulata come tessuto adiposo.
Quando la quantità di calorie introdotte con gli alimenti è minore della quantità di calorie cedute all’ambiente si determina il dimagrimento.

NORMOGRAMMA PER IL CALCOLO DEL FABBISOGNO CALORICO GIORNALIERO

 

 

Bibliografia:

M. Pierce, C.S. Raman, B.T. Nall,
“Isothermal Titration Calorimetry of protein-Protein Interactions”.
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Thermochemistry of living cell system M.N. Jones editor cap. 6 pp 241-309 Elsevier, (1998).