Sovrappeso e obesità

L’obesità è caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo, in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute.

Si tratta di una patologia cronica, legata a molteplici cause e per questo definita multifattoriale, accompagnata da aumentato rischio di morbilità e mortalità. Tuttavia per molti anni la persona obesa può vantarsi di “godere di ottima salute”, studia, lavora, pratica attività ludiche e spesso si veste con cura ed è sinceramente convinta del proprio fascino al pari di chi fuma o beve alcolici in eccesso, convinta che i cambiamenti del corpo siano solo un problema esteriore. <<Se voglio smetto di fumare anche domani>>, oppure <<Se voglio posso smettere di ubriacarmi>> e infine, <<sapessi di quanti chili sono riuscito a dimagrire nella mia vita, se voglio da domani mi metto a dieta…>>.
Fino a quando la classe medica in primo luogo e poi quella degli opinionisti e dei politici continua a credere che non si tratti di altro che di un “problema funzionale, che limita la qualità della vita solo se si oltrepassano certi limiti” e il servizio sanitario nazionale o le assicurazioni sanitarie non riconoscono le patologie del comportamento come “malattie vere”, i proclami dell’OMS rimarranno delle semplici grida manzoniane come quelle sull’inquinamento o sullo smaltimento dei rifiuti.
Nel suo “Rapporto del 2002 sulla salute in Europa “, l’Ufficio regionale europeo dell’OMS definisce l’obesità come: “epidemia estesa a tutta la regione europea, circa la metà della popolazione adulta è sovrappeso e il 20-30 per cento degli individui, in molti paesi, è definibile come clinicamente obeso”. La Conferenza Europea sull’obesità di Copenhagen tenutasi l’11 e il 12 settembre del 2002, ha evidenziato che circa il 4 per cento di tutti i bambini europei è affetto da obesità.
Per quanto riguarda in particolare l’obesità addominale  intesa come giro vita superiore a 102 cm nell’uomo e a 88 cm nella donna – secondo un’indagine pubblicata su Obesity Research, la percentuale totale di individui dal “giro vita” troppo grande, nei pesi dell’area occidentale, è pari al 46% con una netta prevalenza per le donne che arriva al 55,1% della popolazione femminile mentre si ferma al 36,9% per cento dei maschi. Analizzando comparativamente i diversi studi epidemiologici europei, la Spagna è al secondo posto con il 34,7 per cento di prevalenza di obesità addominale in entrambi i sessi, seguita dall’Italia, dal Regno Unito (27,5 per cento), dalla Francia (26,3 per cento), dalla Germania (20,3 per cento) e dall’Olanda (18,2 per cento).
Nonostante tutti i milioni spesi per l’analisi epidemiologica dell’obesità nei paesi industrializzati, quattro anni dopo la Conferenza ministeriale europea dell’OMS sull’azione di contrasto all’obesità, tenutasi a Istanbul il 15-18 novembre 2006 riprende le solite frasi allarmistiche e inascoltate. A conclusione dei lavori congressuali l’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS pubblica che …”L’obesità rappresenta per l’Europa una sfida sanitaria pubblica senza precedenti, finora sottostimata, scarsamente valutata e non perfettamente accettata come problema governativo strategico associato a notevoli implicazioni economiche. L’epidemia che sta emergendo nei bambini accentuerà notevolmente il carico dovuto a problemi di salute, a meno che non siano adottati provvedimenti urgenti, con approcci originali, basati su una chiara comprensione dei determinanti economici dell’epidemia e sul rifiuto dei presupposti tradizionali circa le sue cause”.
Con tutto ciò, le assicurazioni non hanno esteso la copertura sanitaria alla cura dietologica del sovrappeso e dell’obesità, né è cambiato qualcosa circa le difficoltà di accedere al servizio sanitario nazionale per gli esami dietologici che implicano spesso la monitorizzazione del metabolismo mediante l’esame della Triiodotironina totale e delle catecolamine.
Allo stato attuale il Dietologo è ancora uno specialista di serie B al quale ci si deve rivolgere perché afflitti da una patologia di serie A..come il Diabete o l’Artrosi degli arti inferiori o, con molte riserve, per la cura dell’Ipertensione Arteriosa.

OBESITA’ GENETICA

Grassi si nasce o si diventa? L'”obesità”, che affligge meta’ della popolazione adulta nei Paesi industrializzati, è un problema che nasce dall’incrocio di fattori genetici, ambientali e comportamentali. Ma che cosa conta di più? Quando tre anni fa Jeffrey Friedman, dalle Rockefeller University a New York, scoprì nei topi il gene dell’obesità, di cui esiste un equivalente nell’uomo, si pensò di avere l’asso nella manica.
Il gene, chiamato “ob”, regola le funzioni di una proteina, la leptina, che e’ prodotta dalle cellule di grasso, circola nel sangue e dice al cervello quanto ne è immagazzinato nel corpo. I topi che non ne producevano abbastanza erano obesi: sarebbe bastato modificare i livelli di leptina per curare l’obesità? Gli esperimenti dimostrarono che non era così semplice.
Come per molte altre condizioni patologiche, l’obesità è il risultato di un’interazione tra fattori genetici e ambientali.
Studi condotti su gemelli identici adottati alla nascita da famiglie diverse per cultura e status sociale hanno dimostrato che da adulti presentavano con assoluta prevalenza un rapporto peso e altezza simile alla famiglia biologica e non alla famiglia di adozione.

(Stunkard, A. J., Sorensen, T. I. A., Hannis, C., Teasdale, T. W., Chakraborty, R., Schull, W. J. & Schulsinger, F. (1986b). An adoption study of human obesity. New England Journal of Medicine 314, 193-198).

Le caratteristiche genetiche predisponenti l’obesità, perché si manifestino, è necessario che siano associate ad un ambiente favorevole, la percentuale di obesità che può essere attribuita a fattori genetici varia, a seconda della popolazione esaminata, dal 6% al 85%, un divario troppo grande perché la genetica possa essere considerata la causa principale.

(Yang W, Kelly T, He J (2007). Genetic epidemiology of obesity. Epidemiol Rev 29: 49–61).

A partire dal 2006 sono sati trovati oltre 41 geni che controllano l’appetito e il metabolismo con polimorfismi predisponenti all’obesità, ma dal momento che non siamo ingabbiati come i topi di laboratorio di Friedman l’aumento di peso si verifica solo quando l’apporto alimentare è eccessivo e l’ambiente è favorevole.

(Poirier P, Giles TD, Bray GA, et al. 2006. Obesity and cardiovascular disease: pathophysiology, evaluation, and effect of weight loss. Arterioscler. Thromb. Vasc. Biol. 26 (5): 968–76)

La diffusione dell’obesità anche nei paesi emergenti dimostrerebbe che le mutazioni genetiche favorenti l’aumento di peso potrebbe ricondursi alla storia evolutiva della nostra specie.
La capacità di approfittare dei rari periodi di abbondanza di cibo da immagazzinare sotto forma di grasso, sarebbe vantaggiosa durante i periodi di carestia e le persone con riserve adipose maggiori avrebbero maggiori probabilità di sopravvivenza. Questa tendenza a conservare il grasso, però, sarebbe negativa in una società con grandi disponibilità e varietà di cibi. Questo spiega perché gli indiani Pima, che si sono evoluti in un ecosistema desertico, hanno sviluppato alcuni dei più alti tassi di obesità, quando esposti ad uno stile di vita occidentale.

(Wells JC (febbraio 2009). Ethnic variability in adiposity and cardiovascular risk: the variable disease selection hypothesis. Int J Epidemiol 38 (1): 63–71

Anche l’obesità che un tempo si riteneva tipica di certe malattie genetiche come la sindrome di Prader-Willi o la sindrome di Bardet-Biedl ora è considerata una semplice complicanza. Se adeguatamente curati e guidati questi pazienti presentano un BMI pressoché normale.
Il rinnovato orgoglio della propria identità tra la popolazione degli indiani Pima ha fermato il diffondersi dell’obesità che intorno ai primi anni 90 era otto volte superiore alla media nazionale e mentre prima era normale trovare adulti diabetici già a 35 anni che pesavano oltre 230 chili, ora è molto meno frequente.
E’ possibile che una adeguata strategia terapeutica riesca a ridimensionare il diffondersi dell’ eccessivo aumento di peso.
E’ su questa base che nasce la terapia nutrizionale, comportamentale e farmacologica, dell’obesità con lo scopo di cambiare la prospettiva con la quale il paziente è abituato a vedere l’atto del nutrirsi.

 

Bibliografia:

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JAMA. 2004;291(16):2013–2016.

Calorie e dispendio energetico

COME SCOPRIRE QUANTE CALORIE DOBBIAMO INTRODURRE

L’emozione gioiosa che dà il possesso di un’automobile perfetta nel suo funzionamento e splendida nelle forme, è preceduta sempre dal superamento di un esame che abiliti alla guida del mezzo.
L’automobilista deve conoscere il funzionamento degli “organi” principali della sua auto, quali sono le parti più deteriorabili e quindi da controllare periodicamente; sa che dopo tante centinaia di chilometri deve verificare il livello dell’acqua della batteria; che dopo tante magliaia di chilometri deve cambiare l’olio, far rifare i freni, sostituire i pneumatici, ecc.
Per la splendida “supercar”, quale è il nostro corpo, che la natura ci ha messo a disposizione non esiste la necessità di quell’esame di abilitazione. Dopo le prime fasi di vita e superata l’infanzia protetta dall’amore dei genitori, il corpo è abbandonato al destino del suo incosciente possessore.
L’automobilista prudente, quello che non vuole avere sorprese, dedica alla cura dell’auto, secondo una statistica internazionale, almeno due ore a settimana.
Quante cure e quante ore dedica quell’automobilista alla “conoscenza” e alla “manutenzione” della “macchina” assai più complessa, importante, delicata, quale è egli stesso?
La “supercar uomo” è la più prodigiosa delle macchine, capace di compiere ciò che nessuna macchina potrà mai fare: pensare. Questo grazie al cervello, 1360 grammi di materia vivente che coordinano tutte le attività del corpo, al quale è deputato il compito di agire.
Per mezzo del sistema scheletrico gli animali superiori e l’uomo possono reggersi in piedi, camminare, saltare, possono cioè muoversi e superare l’attrazione fisica esercitata dal forza di gravità che altrimenti li schiaccerebbe a terra.
Il cervello riceve, mediante gli organi di senso, le informazioni dal mondo esterno e interno, le controlla, le coordina e trasmette le decisioni formulate su queste basi ai nervi: questi portano i messaggi del cervello, “stimoli”, ai muscoli che imprimono alle strutture ossee i movimenti con l’intensità e la rapidità loro impartite.

I muscoli nel loro insieme formano la massa delle carni che durante il lavoro guizzano sotto la pelle.
L’energia dei muscoli è fornita dalle calorie liberate dalla combustione delle sostanza nutritive che noi assumiamo con gli alimenti e che bruciano appunto nei muscoli.
L’ossigeno per la combustione è fornito dall’apparato respiratorio, che lo “assorbe” dall’aria. L’ossigeno, a sua volta, serve a bruciare gli alimenti che noi ingeriamo, trasformando l’energia chimica che essi contengono in altre forme di energia, secondo i vari organi, così distribuite:
– energia motoria: per i muscoli;
– energia secretiva: per le ghiandole (fegato, reni e tiroide);
– energia nervosa: per il cervello, midollo spinale e nervi.

L’eliminazione delle scorie prodotte dal processo combustivo è opera della pelle, dei reni e dell’intestino.
Il corpo umano è costituito per un 15% da lipidi, un altro 15% è rappresentato dai protidi, il 5% è formato da sostanze inorganiche e la restante parte da acqua. I carboidrati entrano nella costituzione del nostro corpo solo per l’1%.
Pertanto elementi essenziali per la realizzazione delle complesse strutture organiche sono: protidi, lipidi, sostanze inorganiche e acqua, mentre i carboidrati rappresentano la benzina della nostra “supercar” biologica.

 

Qualsiasi essere vivente per vivere, crescere e riprodursi, deve continuamente prelevare energia e materia dall’ambiente circostante.
Gli alimenti sono l’unica fonte da cui poter estrarre, attraverso i processi digestivi, i nutrienti, utili per ricavarne energia.
L’unità di misura di questa energia apportata dai cibi è la caloria.

In Scienza dell’Alimentazione, con il termine di caloria alimentare o grande caloria, indicata con Cal (C maiuscola) o kcal si indica la quantità di energia necessaria per elevare di un grado la temperatura di un litro di acqua distillata a livello del mare ed equivale a 1000 piccole calorie.

Per calcolare il valore calorico di un alimento si utilizza la Bomba Calorimetrica. Si tratta di uno strumento scientifico sofisticato, che permette di determinare il calore di combustione o potere calorico, di un alimento. Sulla base dell’innalzamento di temperatura del bagno calorimetrico, lo strumento misura il calore di combustione della sostanza.

 

La prima applicazione di un calorimetro per misure su organismi viventi fu fatta nel 1780 da Lavoisier e da Laplace che misurarono il calore generato da una cavia (porcellino d’India) grazie al Calorimetro di loro invenzione. Misero l’animale in un contenitore coibentato, circondato da ghiaccio e assunsero che il ghiaccio che si scioglieva era solo dovuto dall’attività metabolica dell’animale.

Negli animali superiori e nell’uomo l’energia chimica contenuta negli alimenti è utilizzata dall’organismo per mantenere stabile la temperatura corporea e svolgere l’attività fisica ecessaria.
Per calcolare il metabolismo energetico di un individuo si può procedere misurando il valore calorico degli alimenti che la persona ha introdotto, la quantità di calore prodotto e il lavoro meccanico svolto.
Mediante la calorimetria è possibile stabilire il consumo di ossigeno senza sforzo. In effetti, se l’organismo non compie lavoro, quasi tutta l’energia metabolica viene ceduta sotto forma di calore. Per questo il metabolismo energetico è misurato come quantità di calore e l’unità di misura utilizzata è la grande caloria (Cal).
Quando si determina un bilancio energetico positivo l’energia prodotta in eccesso viene accumulata come tessuto adiposo.
Quando la quantità di calorie introdotte con gli alimenti è minore della quantità di calorie cedute all’ambiente si determina il dimagrimento.

NORMOGRAMMA PER IL CALCOLO DEL FABBISOGNO CALORICO GIORNALIERO

 

 

Bibliografia:

M. Pierce, C.S. Raman, B.T. Nall,
“Isothermal Titration Calorimetry of protein-Protein Interactions”.
Methods (San Diego, Calif.), 19(2), 213-21, (October 1999).

L. Bolognini,
“Compendio di bioenergetica”.
Piccin-Nuova Liberaria Appendice A pp 335-337 (1990).

I.Wadso,
“Biochemical thermodynamics”.
Thermochemistry of living cell system M.N. Jones editor cap. 6 pp 241-309 Elsevier, (1998).

Integratori alimentari per il metabolismo

NUTRACEUTICA

Per produrre energia la cellula utilizza una serie di reazione chimiche, che possiamo nel loro insieme chiamare metabolismo.


Gli strumenti adatti per produrre l’energia cellulare sono gli enzimi che vengono immediatamente distrutti dopo la loro azione quindi debbono essere ricostruiti con la stessa velocità con la quale sono distrutti. Per questo la cellula ha un continuo bisogno di introdurre materia ed energia.
Gli enzimi sono proteine costituite da catene di aminoacidi capaci di fare cose straordinarie. La molecola che viene trasformata dall’enzima prende il nome di substrato mentre il risultato della reazione prende il nome di prodotto finale.
La vita di un enzima può essere brevissima, infinitesimi di secondo, quindi deve essere continuamente risintetizzato consumando sempre nuovi aminoacidi. Questi mattoni della vita sono detti essenziali quando il nostro organismo non è in grado di produrli autonomamente e quindi si trova costretto ad introdurli con l’alimentazione.

Gli aminoacidi essenziali sono fondamentali nell’alimentazione ma ancor più importante è il loro giusto apporto in termini quantitativi e di equilibrio fra loro in rapporto alla particolare situazione metabolica della persona. Per questo motivo abbiamo formulato un particolare insieme di aminoacidi per chi deve perdere peso. Questa formulazione è stata chiamata AMINODIET ed è composta da treonina, lisina, tirosina, istidina e glutammina.

 

AMINODIET 

AMINOACIDI PER DIMAGRIRE

L-TREONINA

La treonina è un aminoacido essenziale con spiccate funzioni depurative dell’organismo in generale e in particolar modo di fegato e reni.
Le funzioni della treonina sono numerose:

  • CURA DELLA STEATOSI EPATICA
  • MANTIENE ELASTICA E GIOVANE LA PELLE IN QUANTO È UN PRECURSORE FONDAMENTALE DI ELASTINA E COLLAGENE
  • È UN COSTITUENTE FONDAMENTALE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

La carenza di treonina provoca deperimento organico con osteoporosi e riduzione della massa magra, ingrossamento del fegato e lesioni della pelle.
Il suo impiego come integratore alimentare è fondamentale quando si intraprendono cure estetiche e quando si aumenta l’attività fisica sportiva.

 

L-LISINA

La lisina fa parte degli aminoacidi essenziali che il nostro organismo non riesce a sintetizzare autonomamente pertanto deve essere introdotta con l’alimentazione. E’ soprattutto presente nelle carni rosse e in alcuni pesci come il merluzzo e le sardine.
In Europa durante la seconda guerra mondiale, la carenza di questo aminoacido era particolarmente diffusa perché le persone mangiavano prevalentemente polenta, senza mai variare.
Lo stato di fame di allora aveva dato luogo ad una malattia conosciuta come pellagra causata dalla carenza di niacina, una vitamina del gruppo B, che per essere sintetizzata necessita di lisina.
Questo aminoacido è fondamentale per la sintesi della carnitina, la nota molecola strutturale dei muscoli scheletrici che ne migliora la forza e la resistenza alla fatica.
La lisina è il costituente principale della cheratina dei capelli e del collagene, la proteina fibrosa di ossa, cartilagini, cute e tessuti connettivi.
Senza lisina, le performance fisiche degli atleti sarebbero senz’altro compromesse. Gli integratori non sono solo utili agli atleti professionisti. Tutte le volte che ci sottoponiamo a sforzi fisici intensi o ai rigori di una dieta dimagrante, è necessaria una supplementazione in lisina per evitare di sentirsi stanchi, avere la pelle flaccida e i capelli fragili e spenti.

 

L-TIROSINA

La tirosina, superata la barriera emato-encefalica, giunge all’interno del neurone cerebrale, dove subisce una serie di cambiamenti fino a diventare dopamina che regola l’umore e la prontezza mentale e favorisce la nostra capacità di adattarci a situazioni di ansia, fatica e stress.
È il tassello indispensabile nei processi di sintesi degli ormoni (adrenalina e noradrenalina) prodotti dalla ghiandola surrenale che, come un berretto da marinaio, copre il polo superiore del rene.

La tirosina aumenta la capacità mnemonica, allevia il dolore, stimola la libido, favorisce il dimagrimento ed è utilizzata nella cura del morbo di Parkinson.
I sintomi da carenza posso dare luogo a depigmentazione dei capelli, astenia, caduta della libido, ipotonia muscolare, lesioni epidermiche, danno epatico, ecc…
E’ di grande importanza per la produzione di melanina e quindi per la pigmentazione del capello. È abbondante nel glutine.

La tirosina superata la cellula tiroidea dentro il follicolo della tiroide è la base per la formazione degli ormoni T3 e T4.
Quando la tirosina supera la cellula della ghiandola surrenale è utilizzata per produrre adrenalina e noradrenalina.

L-ISTIDINA

Ricopre delle funzioni molto importanti all’interno del corpo umano, specialmente per i bambini, si tratta di un aminoacido di tipo polare. È precursore della istamina. Utilizzata in medicina farmaceutica nel trattamento delle malattie allergiche, nella artrite reumatoide, nelle ulcere degli organi digerenti. E’ anche importante per la formazione di globuli bianchi e rossi. L’istamina si trova ampliamente diffusa in natura, e nel corpo umano principalmente si concentra nell’emoglobina. In condizioni normali il soggetto sano non deve assumere integratori di questo aminoacido, ma il fabbisogno e di 1 – 8 g/ giorno negli sportivi. Gli alimenti più ricchi di istidina sono: arachidi, fagioli, biscotti per l’infanzia.
Per giunta è utilizzata nel trattamento delle malattie allergiche, nel trattamento delle artriti reumatoidi, nel trattamento di ulcere degli organi digestivi, importante per la produzione di globuli bianchi e rossi; usata nel trattamento dell’anemia. Come già detto sopra viene trasformata in istamina che agisce sulle funzioni muscolari e sulla dilatazione dei vasi sanguigni.
Particolarmente importante nei processi di formazione di unghie e capelli, l’istidina si trova abbondante nella carne di maiale, nel glutine ed in alcune farine. Viene attivamente incorporata nella cheratina a livello dello stato granuloso.

L-GLUTAMMINA

La L-glutammina è un aminoacido proteico che si trova nelle proteine di tutte le forme viventi. Questo aminoacido viene classificato come essenziale o semi-essenziale, il che significa che in circostanze normali l’organismo è in grado di sintetizzarne una quantità sufficiente a soddisfare le proprie esigenze; tuttavia esistono altre situazioni in cui l’organismo non è in grado di far fronte ad un aumentato fabbisogno.
Recentemente la L-glutammina ha iniziato a essere considerata come uno degli aminoacidi più importanti nei casi in cui l’organismo sia sottoposto a condizioni di stress metabolico come ad esempio in traumi (compreso quello chirurgico), condizioni oncologiche, sepsi e ustioni. In tali condizioni la L-glutammina assume la connotazione di un aminoacido essenziale ed è pertanto estremamente importante assicurarne apporti adeguati al fine di rispondere a queste aumentate esigenze fisiologiche.
La glutammina ha dimostrato di essere utile quando somministrata per via TPN in forma di peptidi in alcuni pazienti soggetti a varie forme di stress catabolico, ad esempio nei pazienti affetti da alcune forme di cancro, sottoposti a trapianto o interventi chirurgici, ricoverati in terapia intensiva o immunocompromessi.
Gli effetti positivi della glutammina per via enterale sono generalmente meno pronunciati, ma sono stati riportati risultati preliminari significativi con uso di glutammina orale in neonati fortemente sottopeso e in alcuni soggetti che avevano subito traumi severi, nei quali la glutammina sembrerebbe rinforzare lo stato immunitario, in modo particolare a livello dell’apparato gastrointestinale.

 

Bibliografia: 

Hammarqvist, F., J. Wernerman, R. Ali, A. von der Decken, and E. Vinnars. Addition of glutamine to total parenteral nutrition after elective abdominal surgery spares free glutamine in muscle, counteracts the fall in protein synthesis, and improves nitrogen balance. Ann. Surg. 209:455-461, 1989.

Nutritional supplements with oral amino acid mixtures increases whole-body lean mass and insulin sensitivity in elderly subjects with sarcopenia SB Solerte, C  Gazzaruso, R Bonacasa… – The American journal of Cardiology…June 2, 2008 – volume 101

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In Vitro. February 1980, Volume 16, Issue 2, pp 147-158

Effect of Increasing Dietary Threonine Intakes on Amino Acid Metabolism of the Central Nervous System and Peripheral Tissues in Growing Rats. Günther Boehm Heidi Cervantes, Gilda Georgi, Jürgen Jelinek, Günther Sawatzki, Bendicht Wermuth and Jean-Pierre Colombo Pediatric Research (1998) 44, 900–906

Quali cibi danno piacere e perchè


Quando mangiamo alimenti come vegetali, latte e suoi derivati noi proviamo un senso di appagamento e benessere.
Dove hanno origine queste sensazioni? Nell’area limbica dove agiscono le endorfine, sostanze prodotte dal cervello che sono responsabili della sensazione di bisogno e ci stimolano a cercare il piacere attraverso il cibo.

Le endorfine sono così potenti da spostare addirittura la soglia del dolore: in questo caso nel sistema limbico viene liberata la dopamina. E’ il meccanismo che ci permette di accettare di buon grado anche la dieta, a patto che dopo un certo periodo di sofferenza sia possibile ottenere risultati soddisfacenti.
Ogni stimolo proveniente dall’ambiente esterno provoca in noi un mosaico di emozioni e pensieri: i neuropeptidi (la gastrina e la colecistochinina, ad esempio) hanno il compito di trasportare tali sensazioni e di condizionare il nostro comportamento, proprio come fa la mente. A tutti noi sarà capitato, almeno una volta, di essere sorpresi da improvvisi attacchi di colite, che in determinate circostanze sono addirittura impossibili da contenere.

Shachter e Singer, fra i pionieri negli studi del comportamento, nel 1962 effettuarono un esperimento per analizzare il rapporto tra la mente e il corpo. Gli psicologi statunitensi presero in esame due gruppi di persone: al primo iniettarono una dose di adrenalina, facendogli credere che si trattasse di una semplice vitamina per migliorare la vista; al secondo somministrarono un’iniezione apparentemente uguale, ma nella fiala c’era solo del placebo.

I pazienti di entrambi i gruppi vennero informati con tre diverse modalità:

1. Alcuni furono avvisati degli effetti collaterali dell’adrenalina (palpitazioni, tremori), pur senza svelare la sostanza

2. Altri non ricevettero informazioni

3. Ad altri ancora furono date informazioni fuorvianti, indicando come effetti collaterali prurito o cefalea

Dopo l’iniezione, tutti i pazienti furono accompagnati in stanze separate dove erano presenti psicologi dello staff, che avevano il preciso scopo di agire da provocatori. Alcuni provocatori si mostrarono euforici o aggressivi, altri denunciarono pruriti e nausee; la situazione era monitorata mediante cineprese nascoste dietro gli specchi finti di ogni stanza.
Il primo gruppo di pazienti (1), sottoposto all’iniezione di adrenalina e correttamente informato degli effetti collaterali, dimostrò di non essere quasi influenzato dal comportamento dei provocatori. Risultati opposti per i pazienti che non erano stati informati (2) o che avevano ricevuto informazioni fuorvianti (3): molti di loro riferirono di essersi sentiti euforici o aggressivi, in base al tipo di provocatore a cui erano stati abbinati.
Il dato più rilevante è che questo tipo di sensazioni erano diffuse nella stessa misura sia nei pazienti sottoposti all’iniezione di adrenalina, sia in quelli a cui fu somministrato il placebo. Morale della favola: una cura può fare tanto, ma gran parte del risultato dipende dall’idea che noi ci siamo fatti della cura stessa. Siamo tutti molto influenzabili…

Bibliografia:

Schachter, S. & Singer, J. E. (1962), Cognitive, Social, and Physiological Determinants of Emotional State, Psychological Review, 69(5), 379-399.

Sander L. (1983) To begin with-reflections on outogeny. In: Lichtenberg J.D., Kaplan S. Reflections on Self Psychology. The Analytic Press, New York, pp. 85-104.

Johnson M.H., de Hann M. (2000), Developing cortical specialization for visual cognitive function: The case of recognition, in Mechanisms of cognitive development: Behavioral and neutral perspectives, J.L. McClelland, R.S. Siegler, Hillsdale, NJ: Erlbaum.

 

PIACERE E DOLORE

Con metodi più scientifici e un po’ di fortuna, nel 1954 il dottor James Olds fece una grande scoperta studiando il comportamento di topi da laboratorio. Lo scopo di Olds era quello di verificare come una serie di impulsi elettrici nel cervello dei ratti generasse negli animali dei comportamenti di avversione. Per una fortunata casualità un elettrodo venne posto nell’ipotalamo.
L’esperimento prevedeva di inviare una scarica elettrica ogni volta che il topo si fosse avvicinato a un angolo della gabbia in cui era rinchiuso. La sorpresa è presto detta: dopo ogni stimolazione elettrica l’animale non fuggiva, anzi era sempre più spinto ad avvicinarsi alla gabbia per “averne ancora”. Lo stimolo elettrico della ricompensa pare realizzarsi nella parte anteriore dell’encefalo; per questo motivo utilizzando un elettrodo è possibile far mangiare ancora un animale già sazio.
E siccome le sorprese non finiscono mai, nel 1976 anche gli studiosi Rowland e Antelman fecero una scoperta sconcertante analizzando il comportamento alimentare dei ratti. L’esperimento prevedeva di applicare una pressione, apparentemente non dolorosa, sulla coda dell’animale per due volte al giorno. Il risultato fu inatteso. I topi aumentarono la loro quantità giornaliera di calorie del 129% rispetto a quelli non sottoposti al trattamento.
Recenti studi comportamentali confermerebbero che uno stress prolungato ma poco aggressivo possa causare un aumento incontrollato dell’appetito anche nelle persone. L’obesità e le sue conseguenze sociali negative possono determinare lo stesso tipo di stress: il risultato è un continuo e ossessivo senso di appetito che innesca un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Le analogie fra gli esperimenti da laboratorio e la nostra vita quotidiana non finiscono qua. Gli studiosi Koob, Fray e Iversen applicarono lo stesso fastidioso stress alla coda del ratto: l’animale era così indotto a correre attraverso un labirinto per rosicchiare un tronchetto di legno per distrarsi. Lo stesso bisogno era assente nei ratti non sottoposti a stress.
Anche noi siamo indotti a comportamenti analoghi per combattere lo stress: il neonato trova pace col succhiotto, mentre la stragrande maggioranza delle persone fa uso di gomme da masticare, si rosicchia le unghie, mangia caramelle o fuma ripetutamente. Questo bisogno orale compulsivo è al tempo stesso malattia e autoterapia: a volte è causato da un disagio psicologico, ma spesso è dovuto alla necessità di stimolare l’area limbica, che più è stimolata e più ha bisogno di esserlo.
Per riconquistare un corretto stile di vita la strategia migliore è cercare (e trovare) il piacere in attività che ci distraggano dal bisogno di mangiare. L’attività fisica, il movimento di breve durata ma cadenzato sui pasti assieme al rispetto di semplici regole sono alcune di queste.
Siamo così di fronte a un bivio. Meglio la visione epicurea del “Cogli la vita e fregatene” oppure è preferibile quella stoica che nega il bisogno: “Più ricco di chi possiede un bene è colui che non lo desidera”? A definire il confine tra il malato e il sano non è il racconto del paziente, ma soltanto dati clinici oggettivi.

Il comportamento alimentare è patologico nelle persone afflitte da uno stato di obesità cronica, che non riescono a dimagrire da sole e a mantenere un peso corretto. Facciamo degli esempi. E’ la glicemia, cioè la quantità di glucosio nel sangue, a stabilire il confine tra il goloso e il diabetico. Allo stesso modo è l’obesità, intesa come elevata percentuale di grasso nel corpo, a indicare il nostro stato di salute o di malattia.
Può essere utile raccontare la vicenda di una cara paziente, Luisella, che grazie a una lunga e travagliata cura è riuscita a ottenere un risultato estetico apprezzabile. Luisella dirige un negozio di arredi per bagno e piastrelle; il lavoro va bene, ma lo stress quotidiano è alto e il tempo per pensare alla propria salute è sempre poco. Come spesso accade, a fine giornata una birra e un piatto di pasta sembrano essere l’unico rimedio alle difficoltà. L’importanza della terapia entra in gioco proprio adesso: il suo obiettivo è rendere meno duro il “difficile mestiere di vivere”, come poetava il Montale. Per vincere abitudini consolidate, però, servono determinazione, volontà e voglia di cambiare le cose.
Durante una visita di controllo vedendola molto più curata, addirittura abbronzata per la volontà di piacere, ci complimentammo con lei per i progressi fatti. L’ammissione di Luisella fu disarmante: “Il vero piacere, finalmente, è potermi comprare una gonna decente”.
Come riuscire a sostituire la gratificazione data da vegetali (come pane, vino, nutella, ma anche sigarette), latte e latticini col piacere di guardarsi allo specchio? Come ritrovare il piacere di esporre il proprio corpo? Il primo passo da fare è capire che è importante avere un aspetto curato non per gli altri, ma per se stessi.
Spesso invece il nostro atteggiamento è a dir poco distruttivo. “Io sono così e basta!”: questa è la risposta che spesso diamo a chi ci esorta ad avere cura del nostro corpo. Nel rapporto fra uomo e donna si insinua addirittura il dubbio che ci sia una certa frustrazione da parte del coniuge. In questo caso il campionario di risposte è quasi sempre lo stesso: “Vuoi una donna più magra? Allora vattela a cercare!”, oppure “Hai sempre voluto un tipo più aitante, sei la solita”. Lo sbaglio più grande, in questi casi, è nascondere la bilancia nell’armadio per il quieto vivere.
In molti casi consideriamo problemi come l’alcolismo, il tabagismo o la febbre per il gioco d’azzardo delle vere e proprie malattie, ma non concediamo la stessa attenzione ai nostri comportamenti alimentari. Spesso riteniamo più grave perdere dei soldi per una scommessa piuttosto che acquistare chili di troppo. Sbagliato. Dobbiamo considerare i disturbi alimentari alla stregua di una qualsiasi malattia del comportamento.

 

Bibliografia:

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J Neurosi 24 (11):2825-31.(2004).

 

 

 

 

Come dimagrire

CONTROLLO RESPONSABILE DELLA RAZIONE ALIMENTARE

Quando la nostra immagine riflessa allo specchio è inaccettabilmente cambiata e si decide di dimagrire, dobbiamo fare i conti con pranzi e cene tra amici e parenti abituati a vederci mangiare e bere senza remore.
Ma il nemico più difficile da combattere è la fame nervosa quando abbiamo deciso di meritarci una sorta di premio, una coccola che necessita di cibi REMUNERATIVI, quelli per i quali siamo disposti a… ESAGERARE !!!!!
L’elemento comune della maggior parte di questi è l’alto Indice glicemico (IG) che è dato dal rapporto tra ciò che mangiamo e l’aumento della glicemia. A parità di calorie introdotte dolci, birra, molti frutti, ma anche ortaggi comuni come zucca, carote, patate, e molte bevande come la fanta, la coca cola, la pepsi, e addirittura il riso o il pane alzano moltissimo la glicemia rispetto a i carboidrati con un basso IG come gli spaghetti di grano duro o la soia in semi o un succo di mela o di pompelmo. Bisogna comunque usare delle cautele, infatti, molti cibi a basso IG devono essere assunti con moderazione a causa del loro alto contenuto in grassi come le arachidi o il cioccolato, altri pur ad alto valore di IG come l’uva o le carote per il loro valore nutrizionale in flavonoidi, vitamine e minerali è bene non siano esclusi del tutto.

Dobbiamo partire dal concetto che è necessaria una dieta equilibrata e non è possibile rinunciare per tutta la vita ai piaceri della tavola. Tuttavia se la circonferenza addominale è davvero eccessiva è altrettanto necessario almeno periodicamente disintossicarsi eliminando, per uno o due o al massimo tre giorni, ad esempio una volta al mese le cose ….”buone” ….ma “dannose” come formaggi, dolci, pizze, pane, frutta, delle quali inevitabilmente cadiamo vittime.

Questa dieta la chiameremo “chetogenica” perchè in tre giorni il paziente deve generare chetoni.
Se ciò non accade si debbono assumere alimenti particolari e controllare il proprio metabolismo mediante l’esame della calorimetria indiretta.

 

Bibliografia:

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LA STORIA DI LUISELLA

Ad una cara Paziente che dopo una lunga e travagliata cura, era finalmente riuscita ad ottenere un risultato estetico apprezzabile, ho cercato di spiegare che esistono anche piaceri non nutrizionali, come andare al cinema.
Luisella, così si chiama di nome, bellamente mi disse che non era certo un buon suggerimento. Luisella dirige con la sua amica Cinzia, un negozio di arredi per bagno e piastrelle, il lavoro va bene ma come al solito il difficile è farsi pagare. Le ore di lavoro sono tante e il tempo per pensare alla propria salute è sempre poco. Arrivate distrutte a casa, dopo una giornata trascorsa a combattere con creditori, banche e fornitori e istituti di recupero crediti, una birretta e un piatto di pasta o una pizzetta, sembrano l’unico rimedio alle difficoltà della giornata. La terapia serve proprio a rendere meno duro il “difficile mestiere di vivere” come poetava il Montale. Ma com’è difficile cambiare abitudini consolidate. Tutti quelli che conoscono Luisella da molti anni sanno che per lei è piacevole comportarsi in un certo modo e ora che è cambiata non capiscono il suo comportamento.
Durante la visita quadrimestrale, di mantenimento vedendola molto più curata e addirittura, per la prima volta abbronzata, certo non per il contributo di vacanze esotiche ma grazie al sole artificiale delle lampade, per la precisa volontà di piacere, nel complimentarmi con lei per l’aspetto curato e piacevole, dissi che certo molto più gratificante è l’andare al cinema, piuttosto che andare in pizzeria.
<Errore!!- Mi rispose- Quando io e le mie amiche andavamo al cinema ci riempivamo di pop-corn e coca cola e spesso nell’intervallo rifacevamo il pieno. Il vero piacere è finalmente potermi comprare una gonna decente>.
In effetti non era esattamente ciò che io intendevo con l’esortazione vai al cinema!
Come riuscire a sostituire la gratificazione dei cibi remunerativi rappresentati da – vegetali latte e latticini – con il piacere di specchiarsi?
Come evitare il lento ma quotidiano allontanarsi dal corpo e dal piacere di esporlo?

 

Diabete alimentare

LO STUDENTE AV-VI-SA-TO PUÒ ESSERE SALVATO… DAL DIABETE

L’Epidemiologia ha il cinismo dei numeri e sulla salute racconta in dettaglio anche le realtà spiacevoli che a volte possono sembrare ovvie: anche l’ovvio deve essere infatti indagato col metodo scientifico per poterlo definire, a ragion veduta, tale.

Nelle periferie vivono i cittadini meno abbienti; i cittadini meno abbienti vivono meno e si ammalano più di chi ha reddito familiare e livello d’istruzione superiori.

Queste constatazioni valgono per qualsiasi fascia d’età e quindi anche per i bambini: come testimonia uno studio denominato Av-Vi-Sa-To (Avvisi di Vita Sana a Torino – propensione allo sviluppo del diabete in relazione allo stile di vita VEDI).

Come ha scritto Marco Accossato su La Stampa: “Vivere alla periferia di Torino e frequentare le scuole più al margine della città è un fattore di rischio in più nella probabilità di ammalarsi di diabete. Lo dimostra lo studio Av-Vi-Sa-To realizzato su circa 600 studenti e sulle loro famiglie.” (vedi).

I risultati del Programma (Avvisi di Vita Sana a Torino – propensione allo sviluppo del diabete in relazione allo stile di vita, VEDI) sono stati presentati all’Unione Industriale di Torino il 27 ottobre scorso. La serata, organizzata dal Presidente del Rotary Club 45° Parallelo di Torino Prof. Giulio Diale ha visto la partecipazione di numerosi appartenenti al mondo della scuola. Oltre ai rappresentanti degli istituti scolastici dove il programma si è svolto, erano presenti i rappresentanti dell’Ufficio Scolastico Regionale che aveva dato l’autorizzazione allo svolgimento del progetto stesso.

Il diabete è una malattia grave, costosa da curare e in progressivo aumento soprattutto nella forma dell’adulto (Diabete di Tipo 2). Stili di vita non corretti (sedentarietà e dieta ipercalorica) ne favoriscono lo sviluppo, tuttavia è difficile cambiare abitudini soprattutto da adulti. Gli scopi di questo programma erano due: identificare il più precocemente possibile i ragazzi a rischio e diffondere un’informazione corretta sull’importanza di cambiamento delle abitudini di vita. Per questo motivo sono stati organizzati alcuni incontri didattici presso gli Istituti Scolastici che hanno aderito, è stato distribuito un questionario (FinDRiSc) per la valutazione del rischio nei genitori ed un questionario per la valutazione dello stile di vita degli alunni, infine è stata consegnata una lettera di presentazione per i Medici di Medicina Generale o i Pediatri di Libera Scelta. Durante la serata il diabetologo Alberto Bruno, responsabile scientifico del progetto, ha illustrato ai presenti i risultati del programma.

Av-Vi-Sa-To si è svolto durante l’anno scolastico 2013-2014 ed ha coinvolto 585 ragazzi delle scuole medie e la quasi totalità dei loro genitori. Le scuole che hanno partecipato allo studio rappresentavano tre differenti situazioni socio-ambientali: centro, periferia e provincia. I risultati emersi dall’analisi dei dati ha confermato come la predisposizione a sviluppare il Diabete di Tipo 2 sia più alta nelle classi socialmente svantaggiate, con un reddito più basso, una scolarità ridotta, un più alto tasso di soggetti migrati e come questa propensione sia accompagnata ad uno stile di vita poco salubre degli alunni (nelle scuole della periferia di Torino il 23% non fa praticamente attività fisica, il 16% non fa mai colazione al mattino, il 28% mangia merendine a scuola, il 4,6% fuma). Questi dati erano già noti e studiati in programmi di più ampio respiro condotti a livello nazionale o europeo ma in questa occasione è stato misurato anche la relazione con il rischio dei genitori dimostrando che avere una madre a più alto rischio si associa a comportamenti più sbagliati e verosimilmente a un rischio maggiore per l’alunno. Sulla scorta di questi risultati e per non disperdere preziose risorse sarà importante per il futuro concentrare gli sforzi di educazione ed informazione soprattutto i queste situazioni più critiche. Alla realizzazione del Programma hanno anche contribuito l’Università di Torino, il Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Torino (VSSP, vedi), l’Associazione di Bioetica Europea e Volontariato (BiEVol, vedi) e l’Associazione Diabetici Torino 2000 (vedi).

Di Nicola Ferraro

Helicobacter Pylory

BREATH TEST UREA PER HELICOBACTER PYLORY

Viene eseguito generalmente al mattino, dopo un digiuno di almeno 6 ore.
Si somministra una bustina di citrato di sodio e dopo 10 minuti, soffiando in un’apposita provetta, viene raccolto un primo campione di aria espirata. Viene quindi somministrata al paziente una piccola compressa di Urea-C13 e viene raccolto un nuovo campione di aria espirata in un’altra provetta dopo circa 30 minuti. Dalla quantità di CO2 marcata presente nel respiro dopo 30 minuti, si risale alla presenza di Hp nello stomaco:
l’Hp infatti, scinde l’urea in bicarbonato (e quindi anche CO2) ed ammoniaca e quindi nel paziente con una infezione da Hp, la CO2 marcata espirata dopo mezz’ora sarà di superiore a quella espirata da una persona senza infezione.
Questo test è rapido, indolore, economico e molto affidabile: rileva la presenza di Hp in tempo reale e può essere utilizzato anche per controllare se una eventuale terapia praticata è stata efficace nell’eradicare l’infezione da Hp.

Slomianski A1, Schubert T, Cutler AF. Urea breath test to confirm eradication of Helicobacter pylori. Am J Gastroenterol. 1995 Feb;90(2):224-6.
Di Rienzo TA1, D’Angelo G, Ojetti V, Campanale MC, Tortora A, Cesario V, Zuccalà G, Franceschi F. 13C-Urea breath test for the diagnosis of Helicobacter pylori infection. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2013 Dec;17 Suppl 2:51-8.

RICERCA NELLE FECI DEGLI ANTIGENI DI HELICOBACTER PYLORI

Questa metodica ricerca nelle feci, la presenza di un antigene dell’Hp, il cosiddetto antigene fecale (HpSA). La presenza dell’antigene è segno di infezione in atto ed è quindi un test più attendibile della ricerca di anticorpi nel sangue, tuttavia i falsi negativi (cioè la negatività del test quando invece l’ Hp è presente) sono superiori a quelli del’Breath Test da urea.

 

 

 

 

Bibliografia:

Suerbaum S, Michetti P. Helicobacter pylori infection. N Engl J Med. 2002;347:1175-86.

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Basset C, Holton J, Ricci C, Gatta L, Tampieri A, Perna F, Miglioli M, Vaira D. Review article: diagnosis and treatment of Helicobacter: a 2002 updated review. Aliment Pharmacol Ther. 2003;17 Suppl 2:89-97.

Versalovic J. Helicobacter pylori. Pathology and diagnostic strategies. Am J Clin Pathol. 2003 Mar;119(3):403-12.

Moayyedi P. Helicobacter pylori test and treat strategy for young dyspeptic patients: new data. Gut. 2002;50 Suppl 4:47-50.

Dieta chetogenica

DIETA CHETOGENICA A BASSO VALORE CALORICO (VLCKD – Very Low Calories Keto Diet)

La capacità ereditata dalla nostra storia evolutiva è quella di usare il grasso di deposito come fonte energetica. Nel corso dei millenni però il nostro organismo si è evoluto nelle capacità di accumulare energia attivando l’ormone INSULINA piuttosto che usare le riserve adipose attivando l’ormone GLUCAGONE come invece sono riusciti a fare i mammiferi marini o quelli che riescono a sopravvivere in salute digiunando per tutti i lunghi mesi invernali.

Introdurre una quantità di carboidrati eccessiva rispetto ai bisogni determina una alterazione del recettore insulinico responsabile di obesità e malattie cardiovascolari. Il tessuto adiposo addominale diventa via via sempre più grande e avido, sottraendo energia a muscoli sempre più deboli.
Per evitare livelli di glicemia patologici l’organismo immagazzina lo zucchero sotto forma di trigliceridi nel tessuto adiposo.
Non avendo più prede da inseguire – affrontare – abbattere, eliminare per un breve periodo gli zuccheri dalla dieta e più in generale tutti i vegetali e i latticini con potenzialità glicemizzanti, può determinare un benefico effetto disintossicante se adeguatamente assistito e controllato.
In assenza di carboidrati l’organismo è costretto a produrre energia dai grassi di deposito che liberati dal tessuto adiposo diventano la maggiore fonte di energia.

In pratica durante il digiuno il nostro corpo riesce a produrre lo zucchero necessario grazie alla gluconeogenesi cioè riesce a formare glucosio dagli aminoacidi dei muscoli e dall’acido lattico prodotto dallo sforzo ripristinando in questo modo i livelli di glicemia.
Nel fegato la gluconeogenesi consuma ossalacetato, ma questo prezioso elemento si esaurisce in fretta e quando viene meno blocca il ciclo di Krebs dell’epatocita.
L’acetil-CoA in eccesso è convertito in corpi chetonici (acetoacetato, idrossibutirrato e acetone) che escono dal fegato e attraverso il sangue raggiungono tutte le cellule.
I muscoli sono i principali consumatori dei corpi chetonici prodotti dal fegato per questo è bene fare del movimento nei 3 giorni di dieta chetogenica, inoltre le scorte muscolari di glicogeno e il continuo apporto di glucosio col sangue fanno sì che il muscolo, contrariamente al fegato, abbia ossalacetato a disposizione per ossidare l’acetil CoA nel ciclo di Krebs per molte ore. Quando la quantità dei chetoni prodotti dal fegato supera la capacità del muscolo di usarli, si accumulano nel sangue (chetonemia), sono filtrati dai reni e finiscono nelle urine (chetonuria), dove normalmente sono assenti.

L’ORGANO PRINCIPE DI TUTTO IL PROCESSO CHETOGENICO E’ IL FEGATO.
Il fegato funziona da termovalorizzatore; usa lo scarto della combustione dei grassi per formare i corpi chetonici spendibili come come tali in tutti gli organi e in particolare nel cervello e liberando il prezioso CoA che consente di continuare la beta ossidazione del grasso. La gluconeogenesi dura solo poche ore e serve per stabilizzare la glicemia tra un pasto e l’altro o per compiere sforzi aerobici come una lunga corsa. La chetogenesi dura molti giorni, come un lungo inseguimento di caccia e nonostante il digiuno permette di sentirsi energici e attivi grazie alla formazione dei corpi chetonici.

I cibi a basso Indice glicemico per chi soffre di sovrappeso, sono utili perché fanno ingrassare meno; in pratica se ne possono mangiare quantità maggiori senza ingrassare e sono altrettanto piacevoli. Per esempio l’orzo perlato, che si presta ad essere cucinato come il riso, ha un valore di 49 mentre il riso bianco ha un valore di moltiplicazione di 83; il pompelmo rosa con un indice di 36 va meglio delle arance che hanno un indice di 63.
Per l’eventuale aperitivo le arachidi vanno meglio delle tartine per accompagnare un calice di vino o un succo di pomodoro speziato.
PER DUE O TRE GIORNI ANCHE SOLO UNA VOLTA AL MESE PUO’ ESSERE UTILE ELIMINARE I CARBOIDRATI PER RICONQUISTARE LA CAPACITA’ DI AUTO CONTROLLO.
Sembra poco ma non lo è; in pratica potrebbe essere paragonato al sacrificio di un accanito fumatore che per tre giorni accettasse di non accendere una sigaretta!
Togliere gli zuccheri – o carboidrati che dir si voglia – dalla dieta diventa necessario quando anche mangiando poco non si riesce a perdere peso. L’industria alimentare ha ideato per questo scopo alimenti altamente tecnologici, sani e gradevoli in grado di sostituirsi a carne e pesce senza appesantire l’organismo e in particolare i reni.
Si tratta di alimenti che in qualche misura imitano i carboidrati senza aumentare i livelli di glicemia, come quelle sigarette elettroniche capaci di aiutare chi vuole smettere di esagerare con il fumo. Grazie al particolare rapporto fra macronutrienti e la mirata formulazione aminoacidica dei prodotti DHC-vitaprevent è possibile agire sui punti chiave dei processi che regolano il metabolismo energetico e indurre una perdita di peso esclusivamente a scapito delle adiposità.
I prodotti DHC-vitaprevent grazie alla loro componente proteica arricchita di aminoacidi essenziali, sono in grado di migliorare la texture cutanea donando alla pelle tonicità e luminosità, favorendo un dimagrimento armonioso e visibile in breve tempo. I prodotti DHC-vita prevent, nonostante un indice glicemico molto basso, grazie alla continua ricerca, sono in grado di mediare tra la necessità di soddisfare i palati più esigenti con caratteristiche nutrizionali molto particolari volte al miglioramento della massa magra.

Per valutare i risultati del sacrificio dietetico è necessario dosare i chetoni delle urine. I chetoni sono il risultato del metabolismo del tessuto adiposo, si formano quando si consuma più zucchero di quanto se ne introduca e l’organismo è costretto a fare ricorso alle riserve di grasso. Mediante il KETUR TEST è possibile stabilire se si comincia a “dimagrire”. Più il test risulta positivo (+) più si perde peso.
Nei tre giorni di dieta chetogenica è importante che si tenga un piccolo diario alimentare e s’infili un contapassi nella gonna, nei pantaloni o addirittura direttamente nelle stringhe delle scarpe per valutare passi compiuti e il tempo impiegato in modo tale da poter confrontare il risultato ottenuto sia in termini di peso perso sia di positività al Ketur Test.
Controindicazioni importanti a questi 3 giorni di dieta non ve ne sono ma è bene agire con buon senso e ponderare con cura quando iniziare questo che potrebbe essere definito come un digiuno di disintossicazione dall’eccesso di carboidrati per persone in sovrappeso.
Non seguire questa dieta quando:

  • NON CI SI SENTE IN BUONA SALUTE
  • C’È FEBBRE O SI ASSUMONO ANTIBIOTICI
  • SE SI È NEL PERIODO MESTRUALE
  • SE SI SOFFRE DI NAUSEA O DI PATOLOGIE DEBILITANTI

Assumere un integratore di Potassio o Potassio e Magnesio dopo colazione ma fare attenzione che sia SOLO IN CAPSULE o COMPRESSE, evitando bustine o compresse effervescenti per la questione dei carboidrati aggiunti. Bere circa 2 litri di acqua al giorno. Fare uso di una tisana per regolare l’intestino che ricevendo poche fibre potrebbe impigrirsi, bere the, caffè oppure orzo solubile ma evitare di aggiungere zucchero latte o dolcificanti. Evitare anche le caramelle o le gomme che riportano la scritta “senza zucchero”.

Primo giorno:

COLAZIONE……… Ora.(….)……e cosa si è mangiato….
Es.: una porzione di BISCOTTI DHC-Vintapervent al gusto di CIOCCOLATO; Un caffè lungo, senza aggiunta di dolcificanti, zucchero o latte.

PRANZO……… Ora..(…)……e cosa si è mangiato….
Es.: Shaker al caffè DHC-Vintapervent (adatto per chi sta fuori casa tutto il giorno) oppure: una porzione di Pasta al 60% di proteine condita a piacere e preferibilmente con sugo di carne o pesce per chi rimane a casa.

FUORI PASTO………… Ora ..(…)….e cosa si è mangiato….
Es.: uno Snack di soia al Barbecue DHC-Vintapervent (per chi preferisce il salato) oppure un Brick alla vaniglia per chi ama il gusto dolce.

CENA……… Ora..(…)……e cosa si è mangiato….
Es.: Minestra ottenuta dalla CREMA ALLE VERDURE che si può integrare con BUDINO AL CICCOLATO.

E’ meglio evitare tempi di digiuno superiori alle 4 ore, pertanto se sappiamo che il pranzo non sarà alle 12 in punto ma certamente slitterà come d’abitudine oltre le 13, è bene fare uno spuntino a metà mattina e così procedere nel pomeriggio.

Cerchiamo di fare del movimento

Primo giorno:
– 
Evitare l’ascensore
 Scendere una fermata prima dal mezzo che abitualmente prendiamo per recarci a scuola o al lavoro.
 Con il contapassi cercare di arrivare a circa 4000
 Fare brevi esercizi a corpo libero

Secondo giorno: cerchiamo di ripetere esattamente ciò che si è fatto nel primo e la sera misuriamo i chetoni con il Ketur test. Se la striscetta si colora anche solo debolmente di rosa che indica il primo livello di positività, il nostro impegno è stato promosso.
Se è assolutamente chiaro riprovare la mattina del terzo giorno a digiuno e procedere come nei giorni precedenti senza trascurare il movimento e gli INTEGRATORI.
Se anche al mattino del quarto giorno il Ketur Test è negativo, non è il caso di perdersi d’animo perché può dare ottimi risultati quando verrà ripetuto dopo due settimane. Se il Ketur test anche nel secondo ciclo fosse chiaro è bene cambiare gli alimenti metabolici Dhc-vitaprevent. In questo caso il diario ci sarà di aiuto per memorizzare il rapporto tra alimenti metabolici Dhc-vitaprevent e il dimagrimento.

 

Bibliografia:

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Dieta chetogenica normocalorica

La “dieta chetogenica” è uno strumento importante in tutta una serie di situazioni cliniche. 

La premessa su cui si basa è la capacità del nostro organismo di utilizzare con grande efficacia le riserve di grasso quando la disponibilità di carboidrati sia notevolmente ridotta.
La dieta chetogenica, sin dal 1920, è stata utilizzata per controllare le crisi epilettiche in pazienti pediatrici affetti da epilessia non trattabile con i farmaci. Negli ultimi anni si è registrato un rinnovato interesse della comunità scientifica nei confronti di questo regime alimentare, con l’avvio di promettenti filoni di indagine sull’utilizzo della chetogenica oltre che per il trattamento dell’obesità anche per quello di altre patologie come certe forme tumorali, alcune patologie neurologiche come Alzheimer e Parkinson, il Diabete e la Sindrome Metabolica.

 

Secondo gli amici americani nel paleolitico i nostri antenati si nutrivano routinariamente di bacon, tipico alimento tutto naturale. Una chetogenica ben disegnata non va confusa con regimi alimentari basati su assunti scientifici mal interpretati

La fisiologia della dieta chetogenica

Il tessuto adiposo in un individuo del peso di 70 kg, ammonta a oltre 10 kg anche negli atleti, mentre le scorte di carboidrati ammontano a poco meno di mezzo kg. È evidente che le riserve di zuccheri possono garantire energia per periodi di tempo molto limitati, mentre i grassi rappresentano una riserva ingentissima di energia. Quando il glucosio scarseggia la maggior parte di organi e tessuti può utilizzare acidi grassi come fonte di energia, o può convertire altre sostanze in zuccheri, soprattutto alcuni aminoacidi come alanina e glutammina, attraverso un processo chiamato gluconeogenesi.
Cervello e Sistema Nervoso Centrale, globuli rossi, e fibre muscolari di tipo II non sono in grado di utilizzare gli acidi grassi liberi, ma in condizioni di carenza di glucosio possono utilizzare i corpi chetonici, sostanze derivate dalle scorte di grasso, la cui concentrazione in condizioni normali, è molto ridotta mentre sale nel digiuno prolungato e quando per un lungo periodo si sta senza carboidrati.
L’aumento dei corpi chetonici nel sangue conseguente al digiuno o alla riduzione severa dell’apporto di carboidrati con la dieta è una condizione del tutto naturale definita chetosi.
I chetoni in eccesso, non utilizzati a livello dei tessuti, vengono eliminati attraverso la respirazione in forma di acetone, che impartisce il caratteristico fiato acetosico, e tramite le urine, dove l’eccesso di acidità è tamponato da contemporanea eliminazione di sodio, potassio e magnesio, ecco perché è importante ricorrere agli integratori durante questo periodo.

Chetosi e chetoacidosi

La chetosi fisiologica in un soggetto sano non va assolutamente confusa con la chetoacidosi diabetica, una condizione estremamente grave, potenzialmente fatale, che può svilupparsi in soggetti affetti da diabete di tipo I quando vengano a mancare le necessarie somministrazioni di insulina. In queste condizioni, pur in presenza di un’elevata glicemia, si assiste a un progressivo aumento di corpi chetonici nel sangue, su valori pari o superiori a 25 mmol/dl, con un loro progressivo accumulo in circolo e scarsa o nulla utilizzazione a livello dei tessuti. Questo provoca un netto calo del pH del sangue che può crollare a valori inferiori a 7.30, con conseguenze talvolta fatali senza un tempestivo intervento.

 

Le modalità della dieta chetogenica

Due sono gli elementi alla base dei protocolli di dieta chetogenica più comunemente utilizzati:
Riduzione dell’apporto giornaliero di carboidrati al di sotto dei 50 g al giorno. Quando il consumo di carboidrati superi questo valore soglia non sarà possibile indurre lo stato di chetosi, anche con apporti di CHO inferiori ai 150g/die.
Quando non si parla di dieta chetogenica ma di VLCD (Very Low Calories Diet) si intende una riduzione dell’apporto calorico al di sotto delle 1200 kcal al giorno, più spesso intorno alle 800/900 kcal/die mediante l’uso di pasti sostitutivi che evitano di dover pesare gli alimenti.
Il contributo proteico, al contrario di quanto comunemente si crede, viene mantenuto su valori normali, che oscillano intorno ad un grammo per kg di peso corporeo, attestandosi intorno ai 50/80 grammi giornalieri a seconda delle caratteristiche del paziente. Ovviamente le proteine devono provenire da alimenti molto poveri o privi di grassi: sono quindi favoriti pesce, carne. In specifici casi è possibile ricorrere all’uso di integratori proteici per raggiungere il fabbisogno giornaliero stimato.
L’apporto di grassi dovrebbe oscillare tra i 15 e i 30 grammi al giorno, con netta predilezioni verso cibi ricchi di grassi insaturi di buona qualità come olio extravergine di oliva e pesce. Da evitare carni grasse, salumi, formaggi stagionati, margarina.
Non è permesso il consumo di nessun tipo di frutta e di delle verdure a elevato contenuto di carboidrati come rape rosse, patate e carote cotte.
Integratori di sali, vitamine e perle di omega 3 possono esser necessari, visto il ridotto e selezionato apporto di cibi.
Tra i disturbi più comunemente riportati, specie nei primi giorni, ci sono mal di testa, che in genere scompare una volta raggiunta la chetosi, e stitichezza, dovuta alla decisa riduzione del volume di cibo consumato: per scongiurare situazioni di questo tipo è importante che il soggetto mantenga un elevato consumo di acqua durante la fase di dieta, intorno ai due litri giornalieri.
Ovviamente la dieta chetogenica non può essere protratta indefinitamente nel tempo: la maggior parte degli studi suggerisce che il piano alimentare chetogenico venga utilizzato per un periodo di 8/12 settimane. Al termine del percorso chetogenico il paziente deve essere guidato al progressivo reinserimento di alimenti contenenti carboidrati, con un passaggio graduale a uno stile alimentare sostenibile nel lungo periodo, una vera dieta mediterranea, che possa permettere di mantenere i risultati raggiunti nel tempo, tasto dolente di molti dei modelli alimentari proposti per il dimagrimento.

Contrariamente a quanto si pensa la dieta chetogenica non è iperproteica perché sono i grassi a farla da padrone.

Quando è indicata la dieta chetogenica?

Alcuni studi preliminari indicano un possibile ruolo della dieta chetogenica nel trattamento di patologie del sistema nervoso come Parkinson e Alzheimer, grazie alla capacità dei corpi chetonici di ridurre il danno cellulare. Si tratta comunque di ambiti che richiedono una più approfondita investigazione.
Studi molto promettenti sono quelli riguardanti l’applicazione della dieta chetogenica nel trattamento della sindrome metabolica, dell’iperglicemia, del diabete e della steatosi non alcolica del fegato, con miglioramenti rilevanti nel quadro clinico dei pazienti trattati.
Chi non può fare la dieta chetogenica?
La dieta chetogenica è controindicata nei seguenti casi:
gravidanza e allattamento;
insufficienza renale;
insufficienza epatica;
diabete di tipo I;
porfiria, angina, infarto miocardico recente;
alcolismo;
disturbi mentali.
Contro la dieta chetogenica si sono scagliati alcuni nefrologi preoccupati per il potenziale danno renale, occorre precisare che diete chetogeniche condotte correttamente sono essenzialmente normoproteiche.
In effetti i pochi studi che hanno rilevato potenziali effetti negativi causati da diete chetogeniche sono riferiti a diete con protocolli, ad elevato contenuto di proteine invece dei grassi.

RICETTE

PRIMA COLAZIONE – “Assiette di formaggi”

Ricotta 45 g
Formaggino 50 g
Nocciole 22 g
Saccarina q.b.
Noci di macadamia 15 g

Si può aggiungere una tazza di caffè oppure caffè d’orzo

PRIMA COLAZIONE – “Assiette di formaggi”

Uovo intero strapazzato con panna al 35% (30 g)
Olio MCT 25 g
Pane di segale tostato 20 g

Si può aggiungere una tazza di caffè oppure caffè d’orzo dolcificato con saccarina (q.b.)

PRIMA COLAZIONE – “Bavarese alla nocciola con bevanda calda al caffè”

Mascarpone 85 g
Protifar  (Nutricia) 7 g
Nocciole 21 g
Burro 3 g
Fragoline di bosco 15 g
Ketocal 4:1 (Nutricia) 30 g
Preparare la bevanda scaldando 150 ml di acqua con il Ketocal  (Nutricia). Aggiungere un
cucchiaino di caffè decaffeinato e la saccarina. Preparare la bavarese mescolando a temperatura ambiente mascarpone, burro e le nocciole passate al mixer, dolcificare a piacere. Guarnire con le fragoline di bosco e
lasciare in frigo fino al momento del consumo.

PRIMA COLAZIONE – “Crepès al cioccolato”

Uovo intero 50 g
Ketocal 4:1 (Nutricia) 35 g
Nocciole 10 g
Burro 14 g
Panna al 35% di grasso 40 g
Cacao amaro in polvere 10 g
Mascarpone 20 g
Fragole 25 g

Preparare la crepès unendo l’uovo strapazzato e pesato, metà della panna , il Ketocal e cuocerla usando l’apposito padellino. Preparare la crema al cioccolato unendo il mascarpone, il burro , il cacao e le nocciole tritate. Dolcificare con saccarina. Spalmare la crepes con la crema e chiuderla a libro. Guarnire con le fragole e servire con una mug di caffè macchiato la rimanente panna.

PRANZO O CENA  “Pizza bianca farcita”

Pane carta da musica 3 g
Mozzarella di bufala 50 g
Bresaola 21 g
Rucola 5 g
Olio d’oliva 15 g

Preparare la pizza bianca mettendo alla base il pane leggermente bagnato con acqua quindi farcirlo con la mozzarella. Scaldare 1 o 2 secondi nel microonde. Aggiungere la bresaola e guarnire con la rucola. Preparare un piccolo dessert alla nocciola con il mascarpone, le nocciole tritate finemente, il burro e la lecitina, saccarina ed aroma a piacere q.b.

PRANZO O CENA – “Zuppa di legumi alla toscana”

Ceci in scatola 60 g
Fagioli in scatola 65 g
Cipolla bianca o rossa 10 g
Grana 30 g
Olio extravergine di oliva 15 g
Lecitina di soja 10 g
Ketocal 4:1 (Nutricia) 20 g

Nel coccio piccolo preparare il brodo vegetale; aggiungere i legumi, la cipolla , l’olio, una foglia di salvia, alloro e un rametto di rosmarino. Cuocere fino a completa cottura, salare e pepare. Aggiungere prima di servire il grana grattugiato e la lecitina.
Terminare il pasto con 60 ml di bevanda al caffè preparata con il Ketocal  (Nutricia), il caffè decaffeinato e la saccarina.

PRANZO O CENA – “Hamburger di manzo con insalata di carote e lattuga”

Polpa scelta di manzo macinata 50 g
Lattuga 30 g
Carote 30 g
Maionese (fatta in casa) 30 g
Olio extravergine d’oliva 10 g
Olive nere 10 g
lecitina di soia 5 g

PRANZO O CENA “Tagliatelle panna e prosciutto”

Tagliatelle  shirataki a base di glucomannani 150 g
Prosciutto cotto 40 g
Panna da cucina 30g
Grana 17 g
Olio extravergine di oliva 15 g
Radicchio rosso o trevisana 55 g
Maionese (fatta in casa)  10 g
Panna al 35% di grasso 30 g
Burro 3 g
Ketocal 4:1 (Nutricia) 10 g

Tagliare il prosciutto a cubetti e scaldarlo con la panna da cucina, la metà dell’olio, salare e pepare. Scolare le tagliatelle e condirle con il sugo. Aggiungere il grana grattugiato. Lavare e pesare il radicchio e condirlo con un’emulsione fatta la restante quantità di olio e la maionese.
Preparare la panna cotta al caffè aggiungendo alla panna da scaldare la colla di pesce precedentemente ammollata e strizzata, il caffè solubile, il Ketocal (Nutricia)  e dolcificare con saccarina. Lasciare raffreddare a temperatura ambiente e mettere in frigo fino al momento del consumo.

 

 

Bibliografia:
The therapeutic implications of ketone bodies: the effects of ketone bodies in pathological conditions: ketosis, ketogenic diet, redox states, insulin resistance, and mitochondrial metabolism.
Richard L Veech.
Laboratory of Membrane Biochemistry and Biophysics, National Institutes of Alcoholism and Alcohol Abuse, 12501 Washington Ave., Rockville, MD 20850, USA